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IndiaEveryday

mercoledì 12 dicembre 2007

L'importante è che tu ci creda

Sottotitolo: "ma sono io quello sbagliato?"

Ieri ho assistito all'assemblea di fine anno della nostra azienda. Vi partecipo per la prima volta in qualità di appartenente alla nuova divisione, quindi era lecito attendersi qualche novità.

E devo ammettere che qualche novità c'è stata.
I capoccioni venuti da UK apposta per noi non si sono accontentati di illustrare i dati aziendali, che vista la crisi non potevano essere del tipo "ma quanto siamo bravi". Si sono infatti dilungati sul confronto con la concorrenza, che quest'anno è andata davvero forte. Tutti i nostri diretti competitors hanno incrementato i loro profitti e guadagnato quote di mercato, perfino quegli scarsoni di MH che non fanno altro che copiarci, e per di più ci copiano male, con dei prodotti che si rompono anche solo a guardarli.
Quindi se noi andiamo male non è colpa del mercato, che appare in netta espansione, soprattutto in Europa. Ebbene si, è tutta colpa nostra, della nostra incapacità di interpretare ciò che desidera il mercato.

Ma non è di questo che volevo parlare, bensì dell'impressione che mi sono fatto partecipando a questa assemblea. Ora, a chiunque sia capitato di partecipare a eventi del genere non sarà sfuggito che, in fin dei conti, i concetti espressi sono sempre gli stessi: "Andiamo male ma ci risolleveremo", "Tutto dipende da voi", "L'anno prossimo miglioreremo", "Siamo tutti una grande famiglia" e cose del genere.

Premesso che basta una piccola esperienza in azienda per imparare a comprendere come ci siano delle situazioni che vanno secondo un copione da recitare, ciò che mi lascia l'amaro in bocca è la mia assoluta indifferenza verso questi tentativi di spronarci, di coivolgerci, di farci sentire parte di una squadra.

E non credo si tratti soltanto di cinismo dovuto alla situazione contingente. Cioè, anche se non fossimo in crisi, anche se ce la mettessi proprio tutta, non riuscirei a farmi coinvolgere più in là del mio dovere.

E questa pare essere una condizione mentale che non affligge affatto i miei colleghi. Vedo infatti che loro commentano positivamente gli input del management, si fanno coinvolgere; in breve, ci credono in quello che fanno.
Mentre io, anche in periodi meno burrascosi, ho sempre considerato il lavoro come un mezzo di sostentamento, un puro strumento per guadagnarmi da vivere e non una parte fondamentale della mia vita. Perché la vita è un'altra cosa, è là fuori e mi aspetta dalle 17:30 in poi, dal momento in cui mi chiudo alle spalle la porta dell'ufficio...

Sinceramente io ammiro chi riesce a farsi coinvolgere anima e corpo nel lavoro. Credo che pochissimi abbiano la fortuna di fare un lavoro che piace veramente; la stragrande maggioranza invece se lo fa piacere e questa è un'ottima cosa. Io vorrei essere come costoro, li ammiro ma non ci riesco proprio ad emularli.

Perciò anche una banale assemblea di fine anno come quella cui ho assistito ieri è sufficiente a mettermi in crisi; perché mi induce a chiedermi che cosa ci faccia io in mezzo a persone che hanno un approccio al lavoro totalmente diverso dal mio.

Mi sento fuori posto, mi sento quello sbagliato.

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