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IndiaEveryday

venerdì 23 ottobre 2009

23 Ottobre 1999

Dieci anni fa come oggi era di sabato.
Pioveva quasi ininterrottamente da 2 settimane, e avrebbe piovuto per qualche giorno ancora.
Dopo quasi 6 anni di fidanzamento, mia moglie ed io ci sposavamo.
A distanza di 10 anni, capisco molto più di allora l'importanza del nostro legame.
E spero di avere ancora tanti anniversari come questo da ricordare.

"Let Us Cling Together As The Years Go By,
Oh My Love, My Love,
In The Quiet Of The Night
Let Our Candles Always Burn,
Let Us Never Lose The Lessons We Have Learned"

Teo Torriatte (Let Us Cling Together) - Queen 1976

venerdì 14 agosto 2009

On the road again

Nelle ultime 2 settimane ci sono stati un po' di cambiamenti dal punto di vista lavorativo.
Dapprima mi è stata proposta una trasferta a Roma per un progetto che partirà a settembre. Si parlava di partecipare solo alle fasi iniziali, fino alla fine dell'anno, con possibili coinvolgimenti anche in seguito. Ci ho pensato su per un week-end intero; alla fine ho chiesto di non andare, perché una trasferta a Roma di qualche mese, con sviluppi futuri tutti da definire, avrebbe stravolto non poco la mia vita e quella dei miei familiari. Ho già provato anni fa, quando ho lavorato in Germania, a vivere la settimana in trasferta aspettando il week-end per ritornare; non era per niente piacevole, figuriamoci ora che non siamo più soltanto in 2 in famiglia, ma siamo raddoppiati.
Il giorno dopo il mio "gran rifiuto", i cagnacci dell'azienda non hanno mollato l'osso: stavolta mi hanno proposto, ed ho accettato, una trasferta a Milano presso un noto gruppo bancario, anche in questo caso con durata da definire.
Ovvero, si parte con un primo periodo fino al 31 dicembre, poi si vedrà.
Il punto positivo di questa attività è che, logisticamente, non dovrebbe stravolgermi del tutto la vita, visto che posso viaggiare quotidianamente in auto tra casa e lavoro. In più, a parte un periodo iniziale in cui userei la mia auto, dovrei ricevere in dote un mezzo aziendale.
I punti negativi sono molteplici ovviamente:
  • ogni giorno dovrei percorrere 180 km tra andata e ritorno, senza percepire un centesimo in più rispetto a rimanere in sede;
  • pur avendo lavorato in diversi settori, se ce n'è uno del quale non so assolutamente nulla è proprio quello bancario; ma dopo tutto si potrebbe trasformare in un'esperienza nuova e stimolante;
  • i colleghi sono tutti nuovi, ma proprio tutti, in un contesto del tutto ignoto;
  • si lavora presso il cliente, con orari che, per sentito dire dai futuri colleghi, non sembrano per niente umani: settimana scorsa è capitato un giorno in cui si è usciti dall'ufficio alle 23:30!

Insomma, non parto proprio sull'onda dell'entusiasmo. Tuttavia, visto il marasma che aleggia in ufficio in questo periodo, avrei anche voglia di cambiare aria e provare qualcos'altro.

L'ideale sarebbe cambiare veramente lavoro, non nell'ambito della stessa azienda, ma un nuovo impiego proprio, scelto da me e non imposto dagli eventi e dalle trattative sindacali.

Ma questa è un'altra storia, che mi auguro abbia presto qualche nuovo capitolo da scrivere.

mercoledì 5 agosto 2009

Datemi del coloro

Una costante accomuna le aziende nelle quali ho lavorato fino ad oggi: fra colleghi, anche posti su livelli gerarchici molto differenti, è comune darsi del tu.
Questa è un'usanza che mi ha sempre creato notevoli difficoltà, perché in generale non riesco a dare del tu alle seguenti categorie di persone:
  • coloro che ho appena conosciuto, a meno che non siano palesemente più giovani di me;
  • quelli che hanno o dimostrano un'età maggiore della mia;
  • infine chi occupa una posizione di dominanza rispetto a me, quindi capi non diretti e clienti.

E poco importa se questi individui esordiscono dicendo "siamo colleghi, diamoci pure del tu". Anzi, questa frase mi mette ancora di più a disagio, perché avrei preferito che l'interlocutore non se ne fosse accorto e che la nostra conversazione fosse continuata senza questo inciso. E perché dal quel momento in avanti la mia concentrazione non sarà più rivolta all'argomento del discorso, ma piuttosto su come esprimere frasi neutre che non richiedano il passaggio al lei.

Di solito mi verrebbe voglia di rispondere come Renato Pozzetto in "Mia moglie è una strega", quando conosce Finnicella e lei gli dice "Ma come, mi dai ancora del lei?". E lui replica "Le darei anche del voi, se non fosse apologia". Io di solito mi limito, a seconda della persona, a dire "Ci provo ma temo che mi sbaglierò ancora". E devo aggiungere che non ho nessuna preferenza sul fatto che il mio interlocutore mi dia del tu o del voi. Semplicemente non me ne importa, il problema è solo mio. Certo che, se entro in un negozio e un ragazzino alla cassa, che potrebbe avere meno della metà dei miei anni, mi dice "Ciao, cosa ti serve?", forse un tantino mi indispone e mi verrebbe voglia di domandargli se ci siamo per caso già conosciuti...

Anni fa, nel corso della mia prima esperienza lavorativa, non riuscivo proprio a dare del tu al capo area in cui ero stato inserito. Finché un giorno, tra il serio e lo scherzoso, questi mi disse: "Perché continui a darmi del lei? Vuoi mantenere le distanze?". E questa frase fu per me illuminante. Abituato fin dai tempi dell'università a dare e a sentirsi dare del lei, per me il mantenere le distanze era sinonimo di rispetto, mentre il dare del tu significava non riconoscere l'autorità o, peggio, prendersi eccessiva confidenza.

Ecco quindi che il mio stupore derivava dal fatto che il mantenimento della distanze era visto in accezione negativa, quando io invece lo ritenevo un comportamento gradito. All'opposto, un responsabile di area di un'azienda vuol fare credere che il darsi del tu rafforzi lo spirito di squadra e abbatta quelle barriere che io vorrei mantenere ben salde. Tuttavia l'esperienza mi ha convinto che questo atteggiamento aziendale non sia poi radicato ovunque. Anzi è un modo di fare molto British, anche se come suggerito dal Busca in questo post, gli inglesi non si danno del tu, come erroneamente crediamo, ma del voi.

Nelle aziende profondamente italiane, quelle in cui c'è il padre-nonno fondatore e i suoi familiari nelle posizioni strategiche, darsi del lei è prassi normale, anche fra il presidente e l'amministratore delegato. Leggevo tempo fa che Gianni Agnelli e Romiti, suo braccio destro in Fiat per oltre trent'anni, si siano sempre dati del lei. Non credo proprio che lo facessero per tenersi a distanza, visto che per 3 decenni si saranno visti o sentiti quasi tutti i giorni. Credo invece che sia un segno di rispetto, sia della persona che della gerarchia aziendale.

Secondo me, quando un responsabile, soprattutto molto più anziano, ci tiene a farsi dare del tu, cìè sempre sotto un intento che un mio collega definisce "fottereccio". Ovvero il capo ci tiene ad abbattere le distanze perché, all'occorrenza, ti potrà trattare con tutta la confidenza che vorrà prendersi. E in effetti è così: è molto più facile litigare o comandare una persona dandole del tu, perché non ci sono filtri e la richiesta o le rimostranze arrivano diritte al punto della questione. Usando il lei, si rischia di impelagarsi in discorsi alla Fantozzi, del tipo "Lei è un mediocre", che fanno tanto commedia all'italiana.

Una barriera in questo senso che non ho mai abbattutto è quella con mia suocera. Nonostante la conosca da oltre 15 anni, non ho mai smesso di rivolgermi dandole del lei. Aggiungiamo anche che neppure lei mi ha mai detto di darle del tu, nonostante i fidanzati delle altre sorelle lo facciano senza problemi. Forse per lei era sottinteso, dato che non ha mai cercato di tenere le distanze, ma un tacito accordo dice che a entrambi va bene così.

martedì 28 luglio 2009

Mia moglie è una strega


I lettori non più giovanissimi ricorderanno il film "Mia moglie è una strega", interpretato da Renato Pozzetto ed Eleonora Giorgi.
La trama è più o meno questa: Eleonora Giorgi è una strega e viene mandata al rogo da Papa Clemente V, ovvero Renato Pozzetto. Tuttavia un patto stretto col Diavolo permette alla strega di tornare in vita 300 anni più tardi, incontrare Pozzetto (che nel frattempo è un agente di borsa) e turbare la sua vita per vendicarsi di quanto subito nel XVII secolo.
Alla fine i due si innamorano e si sposano, e la strega, per coronare il suo sogno d'amore, riesce a raggirare nientemeno che il Diavolo stesso. Eleonora Giorgi è ovviamente una strega non nel senso di donna brutta e cattiva, ma nell'accezione di colei che possiede poteri magici ed è in grado di produrre incantesimi.
Proprio con questa accezione ho spesso anche io la sensazione che mia moglie sia un po' strega. Se qualcuno teme che la mia sia un'offesa, sappia che lei è al corrente di questi miei pensieri e quindi non le nascondo proprio nulla.
Vediamo un esempio. Anni fa, da studente universitario, ho inoltrato tutti i rinvii per motivi di studio necessari a completare il regolare corso senza essere chiamato alle armi nel bel mezzo di un anno accademico. Una volta laureato, ho ovviamente smesso di richiedere i rinvii e pertanto mi aspettavo la chiamata alle armi. A mia moglie, che all'epoca era mia fidanzata, non andava proprio giù che io partissi per il servizio militare. Io le risposi che purtroppo non dipendeva da me e che da un momento all'altro mi sarei dovuto aspettare la famigerata "cartolina".
Lei, per tutta risposta, sperava che questa cartolina non arrivasse proprio, magari in virtù di un esubero. Ebbene, le settimane passavano una dopo l'altra e la cartolina non arrivava, proprio come lei desiderava. Passato un anno, all'ufficio leva del Comune di residenza arrivò l'atteso congedo, perciò niente più servizio militare. Lei, per tutta risposta, mi disse che ci aveva sempre creduto al fatto che non partissi. E aggiunse che talvolta, se uno ci crede fermamente a qualcosa, va a finire che si avvera...
Vediamo un altro esempio. Anni fa mia moglie ed io eravamo in auto, con la radio accesa: "Ad un certo punto lei dice: "Questo posto è proprio carino, per completare l'atmosfera sarebbe proprio bello che alla radio trasmettessero la nostra canzone". E proprio in quel momento il DJ dice: "Ed ora vi dedichiamo un pezzo degli anni '90, "Come mai" di 883".
Proprio la nostra canzone.
Io mi giro verso di lei e le dico "Come facevi a saperlo?". E lei sorridendo dice: "Io non lo sapevo, mi sono limitata a desiderarlo... Mi sembrava una cosa così bella!". E subito dopo però la vedo diventare seria, come se anche lei avesse preso coscienza improvvisamente di un qualche potere nascosto e ne fosse rimasta un tantino intimorita.
Vediamo infine uno tra gli esempi più recenti.
Dovete sapere che io, nonostante sia di indole tendenzialmente mite, ogni tanto tendo ad esplodere. Capita perciò che, qualora abbia identificato un possibile colpevole delle mie sciagure, tenda a mandargli una qualche maledizione. Niente di serio, ma cose del tipo "Gli venisse la diarrea", oppure "gli venisse bruciore al culo". Mia moglie ha sempre detestato questa mia reazione e non perde occasione per ricordarmi quella che secondo lei è una verità inconfutabile: se si augurano maledizioni agli altri, finiscono per ricadere su chi le pronuncia.
Devo ammettere che, negli ultimi mesi, di occasioni per pronunciare maledizioni ne ho avute in gran quantità. Del resto, provate a immaginare che perdiate il lavoro perché un top manager della vostra azienda ha deciso che il vostro gruppo non sia più "strategico". Non dico che dobbiate desiderarne la dipartita all'altro mondo, o neppure che abbia a morire insepolto come auguravano gli antichi; tuttavia non volete che, per cotanto misfatto, non abbia a passare una notte seduto sul water in preda a dolori di pancia?
Ebbene, sembrerà incredibile, ma a forza di augurare sfighe a color che identifico come colpevoli delle mie sfortune, ho proprio appurato che ha ragione mia moglie: ti si ritorcono contro! Ho infatti passato l'inverno a maledire questo e quel manager, augurando loro dissenteria, ragadi anali e bruciori vari, e per contrappasso ho dovuto subire un intervento chirurgico per un tumore al retto. Fortunatamente benigno, ma per 6 settimane mi ha procurato dei dolori memorabili, soprattutto di notte. Inoltre non riuscivo a trovare una posizione che consentisse di alleviare un po' la sofferenza: soltanto in ginocchio sullo scendiletto, appoggiato con i gomiti al materasso, avvertivo un qualche sollievo. E infine, per completare l'opera, non ho neppure potuto guadagnarci un po' di stipendio, perché ero in cassa integrazione straordinaria e non potevo passare in malattia.

In conclusione, quando ora sento la necessità di maledire qualcuno, dico sempre frasi del tipo "Che brava persona", oppure "gli auguro proprio di stare in vacanza tutta la vita, di divertirsi molto e non avere mai alcun pensiero".
Chissà, forse se veramente questi auguri si ritorcono contro chi li pronuncia, finalmente mi accadrà qualcosa di positivo.

giovedì 23 luglio 2009

Rompiballe si nasce

Settimana scorsa, mentre tornavo da Firenze, ho dovuto prendere un autobus per percorrere l'ultimo tratto di viaggio prima di casa.
Siccome mi trovavo già presso la fermata con largo anticipo, ho deciso di salire sul mezzo per poggiare almeno lo zaino sui sedili, dal momento che era molto pesante e me lo stavo trascinando sulle spalle fin dal mattino.
Assente l'autista, l'autobus aveva la porta aperta, perciò sono salito e mi sono sistemato in una delle prime file.
In quel mentre si è avvvicinato un uomo sulla quarantina, vestito piuttosto casual, che mi ha notato e senza salire sull'autobus mi ha chiesto: "Scusi, lei è l'autista?"
"Veramente no", ho risposto, "posso aiutarla lo stesso?".
"Beh", ha detto, "il mio problema è che devo andare a ***, ma il treno che arriva da Torino ha 15 minuti di ritardo, e vorrei sapere a che ora parte il pullman".
"Guardi", ho ribattuto, "questo pullman lo prendo spesso, e da orario parte 10 minuti dopo l'arrivo del treno da Torino. Se questo treno ha 15 minuti di ritardo, siccome il pullman lo aspetta in ogni caso, allora partiremo con 5 minuti di ritardo".
"Ah bene, ma è sicuro?"
"Di solito succede così, poi dipende dal treno. Se accumula maggior ritardo, il bus è costretto ad aspettarlo..."
"Ah ecco. Ma non è che poi l'autista cambia idea e parte prima? No, perché vorrei andare al bar".
"Di certo questo bus non parte prima, perché come le ho già detto deve aspettare il treno da Torino, altrimenti le persone dirette a *** come lei non hanno modo di arrivarci sino a domattina. Inoltre, una volta arrivato il treno, l'autista partirà subito, perché non ha alcun interesse a rimanere qui", ho ribattuto con pazienza.
"Bene grazie", è stata la risposta. E il tipo si allontana verso la stazione, che dista 100 metri dalla fermata del bus.

Nel frattempo si erano avvicinate al bus altre persone. Lasciato lo zaino, sono sceso dal pullman perché l'afa al suo interno era insopportabile.
Due ragazze giovani, all'apparenza studentesse in vacanza, si guardavano con aria smarrita vicino al palo della fermata.
Non ho neppure fatto in tempo a chiedere se avessero bisogno di qualche informazione, che il tizio di prima è arrivato tutto trafelato dicendo: "Ciao, dove dovete andare?".
Le due ragazze non hanno risposto, quindi lui ha continuato "Oh, so you're strangers. Do you speak English?"
"Yes, we come from Poland", ha detto la più spigliata delle due.
La ragazza non sapeva ciò che l'aspettava. Da quel momento il tipo ha iniziato un dialogo incalzante che è durato più di mezz'ora, fino alla partenza del pullman.
In un ottimo inglese ha domandato inizialmente dove fossero dirette. Appurato che il pullman era quello giusto, ha poi voluto sapere il motivo della loro visita e da quale città della Polonia provenissero. Dopo averle rassicurate sul fatto che lui in Polonia c'era stato e dopo aver snocciolato loro tutte le città visitate, ha chiesto se fossero studentesse. Accertato e messo a verbale anche questo, ha iniziato un lungo excursus sul suo lavoro, sugli studi che aveva fatto e su ciò che stava facendo in questo momento.
La seconda ragazza, forse più timida, ascoltava il dialogo e ogni tanto interveniva, ma era praticamente impossibile interrompere il diluvio di parole proveniente dalla bocca del tizio.
Una volta scoperto che una delle due studentesse era appassionata di fisica, il discorso di è spostato dulla ricerca, poi sul CERN di Ginevra e infine sull'esperimento dell'anno scorso, di cui parlarono i giornali, prima annunciato e poi rimandato. E infine, poco prima della partenza del pullman, il tizio ha chiesto nozioni dettagliate sulla fisica delle particelle, fornendo anche una sua interpretazione di alcuni noti esperimenti.
Io sono rimasto li in attesa della partenza, vicino alla fermata, a seguire tutto il discorso ma fingendo di essere distratto.
Ad un tratto, mentre osservavo il tizio, sono rimasto di sasso. I suoi capelli grigi, nella mia mente, diventavano biondi. La chierica sulla sua nuca si ricopriva, al pari degli altri capelli, di riccioli biondi. Il suo viso era diventato quello di un bambino.
La voce no, ma la cadenza nel parlare ricordava proprio quella di... Daniele!
Era proprio lui Daniele, ne sono sicuro, un bambino che ha popolato alcuni ricordi della mia infanzia. Logorroico fino alla spasimo, era emarginato da tutti gli altri proprio perché non ti permetteva mai di giocare, lui voleva solo e sempre parlare. Come quella volta in cui avevo vinto la "Robapazza", una palla che non rotolava in linea retta ma procedeva tutta sbilanciata a zigzag. E Daniele, anziché giocare, ci coinvolgeva nelle sue dissertazioni sulla palla che, a suo dire, doveva contenere dei "pesi calibrati". E cosa ce ne fregava a noi, Daniele, che avevamo si e no 8-9 anni?
Ricordo ancora la frase "Oh no, arriva Daniele", che ognuno di noi proferiva quando, al suo avvicinarsi, era meglio inventarsi una scusa per sciogliere il gruppetto. Per ritrovarsi magari più in là, di nascosto da lui, per continuare a giocare senza doversi sorbire interminabili discorsi senza senso.
Perché Daniele era così, sempre pronto a infilarsi nei discorsi o nei giochi altrui per divagare, per iniziare dissertazioni sugli argomenti più strani. Talvolta, quando non sapeva di cosa parlare, anziché riflettere iniziava dei monologhi sulla stranezza del fatto che, qualche volta, non si sa cosa dire e che la gente, chissà come mai, non ha voglia di ascoltare...
Non lo vedevo da almeno 30 anni, ma sono sicuro che si trattasse proprio di Daniele. E ho provato a immaginare a quanta gente, in questi trent'anni, avrà rotto le scatole con i suoi discorsi irrefrenabili, con quel suo desiderio di discorrere senza sosta. Chissà quanti, in tutti questi anni, avranno detto "Oh no, arriva Daniele" e si saranno dati alla fuga, proprio come noi da bambini. Chissà quanti milioni di parole avrà pronunciato lui in questi anni, probabilmente anche nel sonno, nella convinzione che una parola detta in più sia sempre meglio di una in meno.
Ripenso a quelle studentesse, venute in Italia per fare una vacanza, e costrette a fare i conti con l'irrefrenabile logorrea di Daniele...

lunedì 20 luglio 2009

Lunch Thriller

Oggi, durante la pausa pranzo, sono andato in un grande centro commerciale vicino alla sede dell'ufficio. Volevo acquistare un pendrive un po' più capiente di quello attuale, così ho mangiato 2 panini in ufficio e poi mi sono diretto al negozio.
Appena entrato, sento in sottofondo una musica che non passa inascoltata. Mi avvicino alla zona dei televisori e vedo ben 3 megaschermi che proiettano un video musicale, per la precisione "Thriller" di Michael Jackson.
Un ragazzo sui 16 anni, si direbbe di origine cinese, guarda rapito lo schermo mentre Michael conversa con la ragazza prima di entrare nel cimitero. Non era neppure nato quando il video è uscito, eppure sembra apprezzare moltissimo le performance di Jacko, tanto che non riesce a distogliere gli occhi dal video.
In breve arrivano altre 3-4 persone e, me compreso, si forma una piccola folla attorno ai maxischermo. Tutti guardiamo Michael piroettare in mezzo agli zombie, fino alla fine.
Sono passati più di 25 anni, Michael non è più fra noi, ma la sua magia non smette di incantarci.

Un ingegnere piemontese a Firenze - parte 2

Mercoledì scorso sono ritornato in serata da Firenze. In mattinata la persona che cercavo mi ha data udienza e sono riuscito ad ottenere buona parte delle informazioni che mi ero prefissato.
Poco prima di prendere il treno sono anche riuscito a dare un'occhiata alla città, nei dintorni della stazione.
Ecco qualche scorcio