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IndiaEveryday

mercoledì 26 marzo 2008

Il Teorema del Freak

Ciascuno ha una propria peculiarità.
Di alcune ha senso vantarsi, di altre proprio no.
La mia è un'innata capacità di attirare irresistibilmente quelli che io chiamo "Freaks of Nature", ovvero tutti quegli individui un po' strani, sui quali tutti un po' puntano gli occhi ma dai quali si defilano in gran fretta non appena ne incrociano lo sguardo.
Come potrete immaginare la categoria dei Freaks è molto vasta, perciò mi limiterò solo a citarne alcuni esempi.
A buon diritto vi rientrano quindi, in ordine sparso: persone che parlano da sole, spesso ad alta voce; persone che a tutti i costi vogliono attaccar bottone (nel migliore dei casi) o cercano rogne (nel peggiore); coloro che hanno una qualche deturpazione fisica evidente, non propriamente un handicap, magari anche soltanto (!) i capelli tatuati, i lobi delle orecchie che ci passerebbe attraverso una lattina di birra, oppure piercing ovunque, anche sulle emorroidi. Aggiungerei anche: ubriachi, accattoni, questuanti, sedicenti fumatori alla ricerca di tabacco, venditori abusivi di oggetti artigianali, gruppi che urlano a squarciagola, turisti stranieri privi di qualsiasi cognizione geografica.
Voi direte: "Ma perché te la prendi tanto con questi poveretti?". Il problema è che mi incutono timore, nel senso che si rivolgono a me e io temo che possano avere reazioni strane e imprevedibili.
Ho avuto l'ennesima prova di questo mio "magnetismo" alcune settimane fa, quando aspettavo come ogni giorno il treno per tornare a casa.
Appena arrivato sul marciapiedi della stazione, ho notato subito un individuo sulla settantina, vestito in modo elegante, con il viso completamente tatuato. Il personaggio in questione è pure famoso, in quanto si tratta del "pensionato più tatuato d'Italia". Io stesso l'ho visto qualche volta in TV, dal momento che per questa sua strana caratteristica di essersi fatto tatuare sulla quasi totalità del suo corpo l'ha reso un personaggio celebre.
Confesso che anche io, come molti altri passeggeri sul marciapiede, abbiamo cercato di far finta di niente, ma era evidente la curiosità e il disgusto con cui lo guardavamo. Un ragazzo accanto a me ha persino telefonato ad un amico, per avvisarlo della presenza del celebre tatuato: "... Ma si, dai che te lo ricordi, l'ho visto una volta da Costanzo e mentre raccontava la sua vita per poco non gli cadeva a dentiera...", è stato uno dei commenti che ho colto al volo.
Memore della mia caratteristica di cui ho accennato, mi sono subito detto: "Vuoi scommettere che questo si viene a sedere accanto a me?".
Detto fatto, arriva il treno, ci salgo e mi siedo all'incirca a metà carrozza. Dei 4 posti, uno è occupato da un giovanotto, uno lo occupo io e 2 rimangono liberi.
La gente intanto mi sfila davanti, nessuno si degna di sedersi nei due posti liberi accanto a me, neppure avessi la rogna.
Alla fine sale il vecchietto con un suo compagno di viaggio, il quale chiede se i 2 posti (che nel frattempo erano rimasti pressoché gli unici liberi) si possono occupare... e voilà, l'arzillo pensionato si siede accanto a me!
Ancora una volta il teorema è confermato, gli opposti si attraggono.

giovedì 20 marzo 2008

Il colloquio delle 3 carte

Come anticipato, settimana scorsa ho sostenuto un ulteriore colloquio di lavoro.
Avevo inoltrato la mia candidatura su Monster.it per una posizione di Sales Engineer nel settore automotive, nel quale posso vantare un'esperienza di circa 5 anni. Tuttavia non ho mai fatto il Sales Engineer, ho ricoperto il ruolo assai più tecnico di Applications Engineer, ma mi sono detto "Perché non provare, magari sono interessati a qualcuno che abbia voglia di passare da un ruolo tecnico verso qualcosa di commerciale".
Dopo neppure un'ora sono stato contattato da una impiegata di una società di job placement, che mi manifesta il suo interesse per il mio CV e pertanto fissiamo un colloquio per il venerdi successivo.
Detto fatto, il venerdi mi presento in leggero anticipo all'indirizzo comunicatomi.
Il colloquio si teneva al pomeriggio, pertanto il mattino mi sono recato al lavoro come al solito. Dovete sapere che nel mio ufficio l'abbigliamento richiesto, pur decoroso, non è obbligatoriamente formale. Questo perché i nostri contatti con l'esterno sono ridotti al minimo, onde per cui non si sente l'esigenza di vestirsi da Prima Comunione.
Perciò, non avendo l'abitudine di mettermi giacca e cravatta, mi riesce difficile farlo appositamente per sostenere un colloquio di lavoro. E tale mia cattiva predisposizione alla formalità ha dato origine ad un gustoso siparietto con il mio ex-capo, che sapeva già da qualche giorno di questo mio colloquio...
Vedendomi come al solito in camicia e pullover, mi fa: "Mica ci andrai vestito così, al colloquio?". E io: "Si, perché? Non sono elegante ma sobrio".
Lui: "Assolutamente no. Ad un colloquio ci devi andare in giacca e cravatta, è un must".
Io: "Ma se non lo faccio mai, eppure non credo di aver mai pregiudicato l'esito di un colloquio per questo motivo".
L'ex-capo a questo punto mi guarda perplesso le scarpe, un comodo paio di Kappa da tempo libero. Poi guarda le sue e mi chiede che numero porto. "Quarantaquattro", faccio io, un numero totalmente fuori misura per lui. "Peccato, ti avrei prestato le mie", è il suo commento.
Ci salutiamo e me ne torno mogio mogio alla mia scrivania, sentendomi peggio che un barbone da stazione invitato ad una festa. Poi però mi ricordo che nell'armadietto tengo un paio di scarpe di riserva, per quando piove e arrivo in ufficio fradicio. Le cambio in fretta, torno dall'ex-capo e gliele mostro. "Si, decisamente meglio" è il suo commento. Perciò prendo fiero il mio zainetto e mi avvio alla fermata del bus, dalla quale in meno di un'ora raggiungo la sede del colloquio.
La mia ritrosia al cambio di scarpe era dovuta ad un motivo fondamentale: le scarpe di riserva mi fanno un male cane, soprattutto al secondo dito del piede che, per qualche strano scherzo del destino, è più lungo dell'alluce. Dovendo scegliere tra un week-end di dolore ai piedi (perché fino al lunedi successivo non avrei recuperato le mie comodissime Kappa) ed un complesso del barbone in sede di colloquio, ho optato per la prima. E ho fatto male.
Infatti non solo la signorina che mi ha intervistato non sembrava badare troppo all'eleganza, essendo abbigliata in modo molto più informale del mio (poco ci mancava che tenesse i bigodini in testa), ma soprattutto il colloquio si è rivelato una vera fregatura, come vi spiego nelle prossime righe.
Dopo aver riassunto le mie esperienze, la tipa mi chiede se mi sentivo adatto a fare il Sales Engineer. Io spiego che la posizione mi interessa molto, ma non avendolo mai fatto prima, sarebbe necessario che l'azienda investisse del tempo per instruirmi. Qualora invece l'azienda volesse assumere uno che sappia già fare quel lavoro, allora non sarei la persona giusta.
La ragazza mi dice allora "Infatti dal suo CV mi ero accorta che lei è soprattutto un tecnico. Perciò io accantonerei questa posizione e gliene proporrei un'altra, sempre che le interessi". Io rimango un po' sbigottito, non capisco perché mi abbia chiamato se già dal mio CV si evinceva che non sono adatto. Mi sento quasi al centro di un gioco delle 3 carte: la posizione c'è, ma adesso non c'è più, ce n'è un'altra ed eccola qui. "L'ennesima perdita di tempo", penso tra me.
Dato che ormai la mezza giornata è persa, mi dimostro interessato alla nuova proposta, che così mi viene riassunta: "C'è un'azienda con casa madre in Toscana (e della quale assolutamente non posso fare il nome) che, nella bassa della sua provincia, ha aperto una filiale con circa 30 dipendenti. Produce dispositivi wireless di vario genere, anche telecomandi per cancelli (!), ed ha bisogno di un candidato con esperienza nelle telecomunicazioni per fare il Project Leader della ricerca e sviluppo, ma anche un po' di tutto. Non vendono i loro prodotti direttamente, ma riforniscono altre aziende che ci appongono il proprio marchio".
Ora, a onor del vero, va detto che qui troppe cose non mi quadravano, per cui ho iniziato a straparlare e credo perciò di essere sembrato molto confusionario.
Ho cominciato infatti a chiedere come un'azienda di 30 dipendenti potesse permettersi un gruppo di ricerca e sviluppo, dato che nelle aziende piccole le figure professionali sono molto sfumate. Poi ho domandato se potevano loro essere interessati a me, visto che ho anche competenze di Qualità del SW e, di solito, nelle aziende piccole la Qualità viene vista come una gran perdita di tempo... insomma, meglio che me ne fossi rimasto zitto.
In conclusione ci lasciamo con la sua promessa di propormi all'azienda in questione, che forse mi chiameranno e le solite amenità. Ma a quel punto io ormai odio non solo lei, ma pure l'ufficio che sembrava tanto un pied-à-terre.
Ci salutiamo e salgo sul primo treno per casa, contento per una volta di arrivare 2 ore prima del solito.
La ricerca continua, anche se la mia fiducia comincia un po' a incrinarsi.

mercoledì 12 marzo 2008

Sblocca il tuo D140!

Uno o più lettori di questo blog passano da queste parti perché cercano su Google la chiave di ricerca "sbloccare il navigatore Acer D140", oppure "Installare TomTom 6 su Acer D140", et similia.
Mi spiace di aver finora deluso le loro aspettative. L'equivoco è nato da un mio post risalente allo scorso giugno, nel quale annunciavo di aver acquistato il navigatore Acer D140 e di essere in procinto di smanettarlo un pochino.
Controllando poi le chiavi di ricerca che vi portano fino a questo blog, mi sono reso conto dell'interesse suscitato da tale argomento. Io il navigatore in questione non lo possiedo più, l'ho infatti regalato ad un mio amico che ha più tempo e voglia di me di farci qualche modifica.
Il regalo è stato così gradito che l'amico ha deciso di scrivere una mini-guida per lo sblocco e il ripristino delle impostazioni originali di tale navigatore, in modo da guidare l'acquirente di un software TomTom a installarlo sul D140.
Quindi, caro lettore (o lettori), da oggi potete scaricarvi la guida dal seguente link:


Se proprio la lettura del blog non vi soddisfa, almeno non venite a dire che la vostra visita è stata inutile!

lunedì 10 marzo 2008

Retrocessione

Una decina di giorni fa ho sono stato convocato per un colloquio di lavoro presso un'azienda nella zona in cui abito. A dire il vero lo stabilimento dista meno di 20 km da casa mia, quindi una distanza davvero irrisoria rispetto al centinaio di km che percorro ogni giorno nei 2 sensi di marcia per la mia attuale occupazione.
Questi 20 km comportano non meno di mezz'ora in auto, perché occorre attraversare 3 paesini privi di circonvallazione. Sembrerà strano che uno come me, abituato a stare sui treni per non meno di 4 ore ogni giorno, trovi che una mezz'ora in auto sia stressante. La verità è che ci si abitua a tutto, per cui ormai 4 ore di treno al giorno non mi sembrano la fine del mondo. Eppure quella mezz'ora in auto l'ho veramente sofferta, proprio perché non sono abituato ad accelerare, frenare, fermarmi, ripartire, sempre con gli occhi incollati sulla strada.
L'azienda sede del colloquio si trova in un paesino tipicamente industriale, nel quale ogni famiglia che vi risieda da almeno 2 generazioni ha un'attività in proprio. E chi vi risiede da almeno 3 generazioni è ormai uscito dalla dimensione della piccola impresa a conduzione familiare, per avviarsi con successo ad appartenere alla cosiddetta "media impresa" che costituisce il vanto dell'Italia imprenditoriale nel mondo.
Breve identikit dell'azienda: 150 dipendenti, di cui circa 30 impiegati. Il resto sono operai, impiegati nella produzione di componenti per meccanica industriale. Il fondatore, ingegnere classe 1938, ha creato l'azienda e le ha dato il suo nome. In rampa di lancio ci sono i suoi figli, ma lui è ancora attivissimo e non ha alcuna intenzione di mollare.
E' doveroso premettere che io, ne' per curriculum di studi, ne' per esperienza lavorativa, ho mai avuto a che fare con i prodotti di questa azienda. E allora che c'azzecco? Me lo chiedo anche io: semplicemente sono stato proposto a loro tramite un conoscente che di professione fa il cacciatore di teste, ovvero procura alle aziende gente di vario genere che abbia voglia di cambiare lavoro. E allora perché dovrei interessare all'azienda? In generale, loro cercano un impiegato commerciale, che conosca bene l'inglese e anche altre lingue straniere, in modo da affidargli la gestione degli acquisti materie prime e del magazzino.
Il colloquio si è svolto in modo abbastanza prevedibile, con il titolare fondatore e il numero 2 della ditta (che è un ingegnere responsabile di tutta l'area tecnica) interessati sia alla mia esperienza, sia alla mia motivazione nel cambiare completamente ambiente e mansioni.
Più volte si è insistito sull'enorme differenza tra una multinazionale, nella quale lavoro ora, e una piccola-media impresa. In particolare, il titolare ha ripetuto almeno 2 volte una frase che suonava più o meno così: "Se la sua priorità è quella di avvicinarsi in zona per non viaggiare 4 ore al giorno, consideri la nostra come un'ottima opportunità. Se invece le sue priorità sono diverse, ad esempio la carriera, la formazione etc., probabilmente la metropoli le potrebbe offrire migliori occasioni".
Gli argomenti del colloquio non sono stati di tipo tecnico, dal momento che non ho esperienza del settore industriale specifico. Riguardo al trattamento economico, ovviamente nessun riferimento ad un'offerta di stipendio. Di certo sapevano già quanto guadagno, perché al conoscente che mi ha proposto loro ho dovuto dirlo. L'unica cosa certa è che mi degraderanno da quadro a impiegato, con la prospettiva di risalire a breve etc. etc. I motivi mi sembrano abbastanza chiari: se ci sono solo una trentina di impiegati, è molto probabile che alcuni di essi sgomitino tra loro da parecchi anni per il passaggio a quadro. E non vedrebbero bene l'arrivo di un nuovo, che peraltro non sa nulla del loro prodotto, ma già quadro bello e confezionato.
Siccome ero il primo che intervistavano per quella posizione, ci siamo lasciati con il solito "le faremo sapere", dal momento che nei giorni successivi avrebbero incontrato altri candidati.
Alla fine della giornata, mentre prima di addormentarmi passavo in rassegna mentalmente le varie fasi del colloquio, sono giunto ad una conclusione: quest'azienda, se mai deciderà di farmi una proposta, cercherà di prendermi per il collo, facendo leva sul mio desiderio di avvicinarmi a casa. Come a dire: "Vieni pure qui da noi, ma alle nostre condizioni, anche se queste comporteranno in qualche modo una retrocessione".