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IndiaEveryday

venerdì 14 agosto 2009

On the road again

Nelle ultime 2 settimane ci sono stati un po' di cambiamenti dal punto di vista lavorativo.
Dapprima mi è stata proposta una trasferta a Roma per un progetto che partirà a settembre. Si parlava di partecipare solo alle fasi iniziali, fino alla fine dell'anno, con possibili coinvolgimenti anche in seguito. Ci ho pensato su per un week-end intero; alla fine ho chiesto di non andare, perché una trasferta a Roma di qualche mese, con sviluppi futuri tutti da definire, avrebbe stravolto non poco la mia vita e quella dei miei familiari. Ho già provato anni fa, quando ho lavorato in Germania, a vivere la settimana in trasferta aspettando il week-end per ritornare; non era per niente piacevole, figuriamoci ora che non siamo più soltanto in 2 in famiglia, ma siamo raddoppiati.
Il giorno dopo il mio "gran rifiuto", i cagnacci dell'azienda non hanno mollato l'osso: stavolta mi hanno proposto, ed ho accettato, una trasferta a Milano presso un noto gruppo bancario, anche in questo caso con durata da definire.
Ovvero, si parte con un primo periodo fino al 31 dicembre, poi si vedrà.
Il punto positivo di questa attività è che, logisticamente, non dovrebbe stravolgermi del tutto la vita, visto che posso viaggiare quotidianamente in auto tra casa e lavoro. In più, a parte un periodo iniziale in cui userei la mia auto, dovrei ricevere in dote un mezzo aziendale.
I punti negativi sono molteplici ovviamente:
  • ogni giorno dovrei percorrere 180 km tra andata e ritorno, senza percepire un centesimo in più rispetto a rimanere in sede;
  • pur avendo lavorato in diversi settori, se ce n'è uno del quale non so assolutamente nulla è proprio quello bancario; ma dopo tutto si potrebbe trasformare in un'esperienza nuova e stimolante;
  • i colleghi sono tutti nuovi, ma proprio tutti, in un contesto del tutto ignoto;
  • si lavora presso il cliente, con orari che, per sentito dire dai futuri colleghi, non sembrano per niente umani: settimana scorsa è capitato un giorno in cui si è usciti dall'ufficio alle 23:30!

Insomma, non parto proprio sull'onda dell'entusiasmo. Tuttavia, visto il marasma che aleggia in ufficio in questo periodo, avrei anche voglia di cambiare aria e provare qualcos'altro.

L'ideale sarebbe cambiare veramente lavoro, non nell'ambito della stessa azienda, ma un nuovo impiego proprio, scelto da me e non imposto dagli eventi e dalle trattative sindacali.

Ma questa è un'altra storia, che mi auguro abbia presto qualche nuovo capitolo da scrivere.

mercoledì 5 agosto 2009

Datemi del coloro

Una costante accomuna le aziende nelle quali ho lavorato fino ad oggi: fra colleghi, anche posti su livelli gerarchici molto differenti, è comune darsi del tu.
Questa è un'usanza che mi ha sempre creato notevoli difficoltà, perché in generale non riesco a dare del tu alle seguenti categorie di persone:
  • coloro che ho appena conosciuto, a meno che non siano palesemente più giovani di me;
  • quelli che hanno o dimostrano un'età maggiore della mia;
  • infine chi occupa una posizione di dominanza rispetto a me, quindi capi non diretti e clienti.

E poco importa se questi individui esordiscono dicendo "siamo colleghi, diamoci pure del tu". Anzi, questa frase mi mette ancora di più a disagio, perché avrei preferito che l'interlocutore non se ne fosse accorto e che la nostra conversazione fosse continuata senza questo inciso. E perché dal quel momento in avanti la mia concentrazione non sarà più rivolta all'argomento del discorso, ma piuttosto su come esprimere frasi neutre che non richiedano il passaggio al lei.

Di solito mi verrebbe voglia di rispondere come Renato Pozzetto in "Mia moglie è una strega", quando conosce Finnicella e lei gli dice "Ma come, mi dai ancora del lei?". E lui replica "Le darei anche del voi, se non fosse apologia". Io di solito mi limito, a seconda della persona, a dire "Ci provo ma temo che mi sbaglierò ancora". E devo aggiungere che non ho nessuna preferenza sul fatto che il mio interlocutore mi dia del tu o del voi. Semplicemente non me ne importa, il problema è solo mio. Certo che, se entro in un negozio e un ragazzino alla cassa, che potrebbe avere meno della metà dei miei anni, mi dice "Ciao, cosa ti serve?", forse un tantino mi indispone e mi verrebbe voglia di domandargli se ci siamo per caso già conosciuti...

Anni fa, nel corso della mia prima esperienza lavorativa, non riuscivo proprio a dare del tu al capo area in cui ero stato inserito. Finché un giorno, tra il serio e lo scherzoso, questi mi disse: "Perché continui a darmi del lei? Vuoi mantenere le distanze?". E questa frase fu per me illuminante. Abituato fin dai tempi dell'università a dare e a sentirsi dare del lei, per me il mantenere le distanze era sinonimo di rispetto, mentre il dare del tu significava non riconoscere l'autorità o, peggio, prendersi eccessiva confidenza.

Ecco quindi che il mio stupore derivava dal fatto che il mantenimento della distanze era visto in accezione negativa, quando io invece lo ritenevo un comportamento gradito. All'opposto, un responsabile di area di un'azienda vuol fare credere che il darsi del tu rafforzi lo spirito di squadra e abbatta quelle barriere che io vorrei mantenere ben salde. Tuttavia l'esperienza mi ha convinto che questo atteggiamento aziendale non sia poi radicato ovunque. Anzi è un modo di fare molto British, anche se come suggerito dal Busca in questo post, gli inglesi non si danno del tu, come erroneamente crediamo, ma del voi.

Nelle aziende profondamente italiane, quelle in cui c'è il padre-nonno fondatore e i suoi familiari nelle posizioni strategiche, darsi del lei è prassi normale, anche fra il presidente e l'amministratore delegato. Leggevo tempo fa che Gianni Agnelli e Romiti, suo braccio destro in Fiat per oltre trent'anni, si siano sempre dati del lei. Non credo proprio che lo facessero per tenersi a distanza, visto che per 3 decenni si saranno visti o sentiti quasi tutti i giorni. Credo invece che sia un segno di rispetto, sia della persona che della gerarchia aziendale.

Secondo me, quando un responsabile, soprattutto molto più anziano, ci tiene a farsi dare del tu, cìè sempre sotto un intento che un mio collega definisce "fottereccio". Ovvero il capo ci tiene ad abbattere le distanze perché, all'occorrenza, ti potrà trattare con tutta la confidenza che vorrà prendersi. E in effetti è così: è molto più facile litigare o comandare una persona dandole del tu, perché non ci sono filtri e la richiesta o le rimostranze arrivano diritte al punto della questione. Usando il lei, si rischia di impelagarsi in discorsi alla Fantozzi, del tipo "Lei è un mediocre", che fanno tanto commedia all'italiana.

Una barriera in questo senso che non ho mai abbattutto è quella con mia suocera. Nonostante la conosca da oltre 15 anni, non ho mai smesso di rivolgermi dandole del lei. Aggiungiamo anche che neppure lei mi ha mai detto di darle del tu, nonostante i fidanzati delle altre sorelle lo facciano senza problemi. Forse per lei era sottinteso, dato che non ha mai cercato di tenere le distanze, ma un tacito accordo dice che a entrambi va bene così.