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IndiaEveryday

martedì 28 luglio 2009

Mia moglie è una strega


I lettori non più giovanissimi ricorderanno il film "Mia moglie è una strega", interpretato da Renato Pozzetto ed Eleonora Giorgi.
La trama è più o meno questa: Eleonora Giorgi è una strega e viene mandata al rogo da Papa Clemente V, ovvero Renato Pozzetto. Tuttavia un patto stretto col Diavolo permette alla strega di tornare in vita 300 anni più tardi, incontrare Pozzetto (che nel frattempo è un agente di borsa) e turbare la sua vita per vendicarsi di quanto subito nel XVII secolo.
Alla fine i due si innamorano e si sposano, e la strega, per coronare il suo sogno d'amore, riesce a raggirare nientemeno che il Diavolo stesso. Eleonora Giorgi è ovviamente una strega non nel senso di donna brutta e cattiva, ma nell'accezione di colei che possiede poteri magici ed è in grado di produrre incantesimi.
Proprio con questa accezione ho spesso anche io la sensazione che mia moglie sia un po' strega. Se qualcuno teme che la mia sia un'offesa, sappia che lei è al corrente di questi miei pensieri e quindi non le nascondo proprio nulla.
Vediamo un esempio. Anni fa, da studente universitario, ho inoltrato tutti i rinvii per motivi di studio necessari a completare il regolare corso senza essere chiamato alle armi nel bel mezzo di un anno accademico. Una volta laureato, ho ovviamente smesso di richiedere i rinvii e pertanto mi aspettavo la chiamata alle armi. A mia moglie, che all'epoca era mia fidanzata, non andava proprio giù che io partissi per il servizio militare. Io le risposi che purtroppo non dipendeva da me e che da un momento all'altro mi sarei dovuto aspettare la famigerata "cartolina".
Lei, per tutta risposta, sperava che questa cartolina non arrivasse proprio, magari in virtù di un esubero. Ebbene, le settimane passavano una dopo l'altra e la cartolina non arrivava, proprio come lei desiderava. Passato un anno, all'ufficio leva del Comune di residenza arrivò l'atteso congedo, perciò niente più servizio militare. Lei, per tutta risposta, mi disse che ci aveva sempre creduto al fatto che non partissi. E aggiunse che talvolta, se uno ci crede fermamente a qualcosa, va a finire che si avvera...
Vediamo un altro esempio. Anni fa mia moglie ed io eravamo in auto, con la radio accesa: "Ad un certo punto lei dice: "Questo posto è proprio carino, per completare l'atmosfera sarebbe proprio bello che alla radio trasmettessero la nostra canzone". E proprio in quel momento il DJ dice: "Ed ora vi dedichiamo un pezzo degli anni '90, "Come mai" di 883".
Proprio la nostra canzone.
Io mi giro verso di lei e le dico "Come facevi a saperlo?". E lei sorridendo dice: "Io non lo sapevo, mi sono limitata a desiderarlo... Mi sembrava una cosa così bella!". E subito dopo però la vedo diventare seria, come se anche lei avesse preso coscienza improvvisamente di un qualche potere nascosto e ne fosse rimasta un tantino intimorita.
Vediamo infine uno tra gli esempi più recenti.
Dovete sapere che io, nonostante sia di indole tendenzialmente mite, ogni tanto tendo ad esplodere. Capita perciò che, qualora abbia identificato un possibile colpevole delle mie sciagure, tenda a mandargli una qualche maledizione. Niente di serio, ma cose del tipo "Gli venisse la diarrea", oppure "gli venisse bruciore al culo". Mia moglie ha sempre detestato questa mia reazione e non perde occasione per ricordarmi quella che secondo lei è una verità inconfutabile: se si augurano maledizioni agli altri, finiscono per ricadere su chi le pronuncia.
Devo ammettere che, negli ultimi mesi, di occasioni per pronunciare maledizioni ne ho avute in gran quantità. Del resto, provate a immaginare che perdiate il lavoro perché un top manager della vostra azienda ha deciso che il vostro gruppo non sia più "strategico". Non dico che dobbiate desiderarne la dipartita all'altro mondo, o neppure che abbia a morire insepolto come auguravano gli antichi; tuttavia non volete che, per cotanto misfatto, non abbia a passare una notte seduto sul water in preda a dolori di pancia?
Ebbene, sembrerà incredibile, ma a forza di augurare sfighe a color che identifico come colpevoli delle mie sfortune, ho proprio appurato che ha ragione mia moglie: ti si ritorcono contro! Ho infatti passato l'inverno a maledire questo e quel manager, augurando loro dissenteria, ragadi anali e bruciori vari, e per contrappasso ho dovuto subire un intervento chirurgico per un tumore al retto. Fortunatamente benigno, ma per 6 settimane mi ha procurato dei dolori memorabili, soprattutto di notte. Inoltre non riuscivo a trovare una posizione che consentisse di alleviare un po' la sofferenza: soltanto in ginocchio sullo scendiletto, appoggiato con i gomiti al materasso, avvertivo un qualche sollievo. E infine, per completare l'opera, non ho neppure potuto guadagnarci un po' di stipendio, perché ero in cassa integrazione straordinaria e non potevo passare in malattia.

In conclusione, quando ora sento la necessità di maledire qualcuno, dico sempre frasi del tipo "Che brava persona", oppure "gli auguro proprio di stare in vacanza tutta la vita, di divertirsi molto e non avere mai alcun pensiero".
Chissà, forse se veramente questi auguri si ritorcono contro chi li pronuncia, finalmente mi accadrà qualcosa di positivo.

giovedì 23 luglio 2009

Rompiballe si nasce

Settimana scorsa, mentre tornavo da Firenze, ho dovuto prendere un autobus per percorrere l'ultimo tratto di viaggio prima di casa.
Siccome mi trovavo già presso la fermata con largo anticipo, ho deciso di salire sul mezzo per poggiare almeno lo zaino sui sedili, dal momento che era molto pesante e me lo stavo trascinando sulle spalle fin dal mattino.
Assente l'autista, l'autobus aveva la porta aperta, perciò sono salito e mi sono sistemato in una delle prime file.
In quel mentre si è avvvicinato un uomo sulla quarantina, vestito piuttosto casual, che mi ha notato e senza salire sull'autobus mi ha chiesto: "Scusi, lei è l'autista?"
"Veramente no", ho risposto, "posso aiutarla lo stesso?".
"Beh", ha detto, "il mio problema è che devo andare a ***, ma il treno che arriva da Torino ha 15 minuti di ritardo, e vorrei sapere a che ora parte il pullman".
"Guardi", ho ribattuto, "questo pullman lo prendo spesso, e da orario parte 10 minuti dopo l'arrivo del treno da Torino. Se questo treno ha 15 minuti di ritardo, siccome il pullman lo aspetta in ogni caso, allora partiremo con 5 minuti di ritardo".
"Ah bene, ma è sicuro?"
"Di solito succede così, poi dipende dal treno. Se accumula maggior ritardo, il bus è costretto ad aspettarlo..."
"Ah ecco. Ma non è che poi l'autista cambia idea e parte prima? No, perché vorrei andare al bar".
"Di certo questo bus non parte prima, perché come le ho già detto deve aspettare il treno da Torino, altrimenti le persone dirette a *** come lei non hanno modo di arrivarci sino a domattina. Inoltre, una volta arrivato il treno, l'autista partirà subito, perché non ha alcun interesse a rimanere qui", ho ribattuto con pazienza.
"Bene grazie", è stata la risposta. E il tipo si allontana verso la stazione, che dista 100 metri dalla fermata del bus.

Nel frattempo si erano avvicinate al bus altre persone. Lasciato lo zaino, sono sceso dal pullman perché l'afa al suo interno era insopportabile.
Due ragazze giovani, all'apparenza studentesse in vacanza, si guardavano con aria smarrita vicino al palo della fermata.
Non ho neppure fatto in tempo a chiedere se avessero bisogno di qualche informazione, che il tizio di prima è arrivato tutto trafelato dicendo: "Ciao, dove dovete andare?".
Le due ragazze non hanno risposto, quindi lui ha continuato "Oh, so you're strangers. Do you speak English?"
"Yes, we come from Poland", ha detto la più spigliata delle due.
La ragazza non sapeva ciò che l'aspettava. Da quel momento il tipo ha iniziato un dialogo incalzante che è durato più di mezz'ora, fino alla partenza del pullman.
In un ottimo inglese ha domandato inizialmente dove fossero dirette. Appurato che il pullman era quello giusto, ha poi voluto sapere il motivo della loro visita e da quale città della Polonia provenissero. Dopo averle rassicurate sul fatto che lui in Polonia c'era stato e dopo aver snocciolato loro tutte le città visitate, ha chiesto se fossero studentesse. Accertato e messo a verbale anche questo, ha iniziato un lungo excursus sul suo lavoro, sugli studi che aveva fatto e su ciò che stava facendo in questo momento.
La seconda ragazza, forse più timida, ascoltava il dialogo e ogni tanto interveniva, ma era praticamente impossibile interrompere il diluvio di parole proveniente dalla bocca del tizio.
Una volta scoperto che una delle due studentesse era appassionata di fisica, il discorso di è spostato dulla ricerca, poi sul CERN di Ginevra e infine sull'esperimento dell'anno scorso, di cui parlarono i giornali, prima annunciato e poi rimandato. E infine, poco prima della partenza del pullman, il tizio ha chiesto nozioni dettagliate sulla fisica delle particelle, fornendo anche una sua interpretazione di alcuni noti esperimenti.
Io sono rimasto li in attesa della partenza, vicino alla fermata, a seguire tutto il discorso ma fingendo di essere distratto.
Ad un tratto, mentre osservavo il tizio, sono rimasto di sasso. I suoi capelli grigi, nella mia mente, diventavano biondi. La chierica sulla sua nuca si ricopriva, al pari degli altri capelli, di riccioli biondi. Il suo viso era diventato quello di un bambino.
La voce no, ma la cadenza nel parlare ricordava proprio quella di... Daniele!
Era proprio lui Daniele, ne sono sicuro, un bambino che ha popolato alcuni ricordi della mia infanzia. Logorroico fino alla spasimo, era emarginato da tutti gli altri proprio perché non ti permetteva mai di giocare, lui voleva solo e sempre parlare. Come quella volta in cui avevo vinto la "Robapazza", una palla che non rotolava in linea retta ma procedeva tutta sbilanciata a zigzag. E Daniele, anziché giocare, ci coinvolgeva nelle sue dissertazioni sulla palla che, a suo dire, doveva contenere dei "pesi calibrati". E cosa ce ne fregava a noi, Daniele, che avevamo si e no 8-9 anni?
Ricordo ancora la frase "Oh no, arriva Daniele", che ognuno di noi proferiva quando, al suo avvicinarsi, era meglio inventarsi una scusa per sciogliere il gruppetto. Per ritrovarsi magari più in là, di nascosto da lui, per continuare a giocare senza doversi sorbire interminabili discorsi senza senso.
Perché Daniele era così, sempre pronto a infilarsi nei discorsi o nei giochi altrui per divagare, per iniziare dissertazioni sugli argomenti più strani. Talvolta, quando non sapeva di cosa parlare, anziché riflettere iniziava dei monologhi sulla stranezza del fatto che, qualche volta, non si sa cosa dire e che la gente, chissà come mai, non ha voglia di ascoltare...
Non lo vedevo da almeno 30 anni, ma sono sicuro che si trattasse proprio di Daniele. E ho provato a immaginare a quanta gente, in questi trent'anni, avrà rotto le scatole con i suoi discorsi irrefrenabili, con quel suo desiderio di discorrere senza sosta. Chissà quanti, in tutti questi anni, avranno detto "Oh no, arriva Daniele" e si saranno dati alla fuga, proprio come noi da bambini. Chissà quanti milioni di parole avrà pronunciato lui in questi anni, probabilmente anche nel sonno, nella convinzione che una parola detta in più sia sempre meglio di una in meno.
Ripenso a quelle studentesse, venute in Italia per fare una vacanza, e costrette a fare i conti con l'irrefrenabile logorrea di Daniele...

lunedì 20 luglio 2009

Lunch Thriller

Oggi, durante la pausa pranzo, sono andato in un grande centro commerciale vicino alla sede dell'ufficio. Volevo acquistare un pendrive un po' più capiente di quello attuale, così ho mangiato 2 panini in ufficio e poi mi sono diretto al negozio.
Appena entrato, sento in sottofondo una musica che non passa inascoltata. Mi avvicino alla zona dei televisori e vedo ben 3 megaschermi che proiettano un video musicale, per la precisione "Thriller" di Michael Jackson.
Un ragazzo sui 16 anni, si direbbe di origine cinese, guarda rapito lo schermo mentre Michael conversa con la ragazza prima di entrare nel cimitero. Non era neppure nato quando il video è uscito, eppure sembra apprezzare moltissimo le performance di Jacko, tanto che non riesce a distogliere gli occhi dal video.
In breve arrivano altre 3-4 persone e, me compreso, si forma una piccola folla attorno ai maxischermo. Tutti guardiamo Michael piroettare in mezzo agli zombie, fino alla fine.
Sono passati più di 25 anni, Michael non è più fra noi, ma la sua magia non smette di incantarci.

Un ingegnere piemontese a Firenze - parte 2

Mercoledì scorso sono ritornato in serata da Firenze. In mattinata la persona che cercavo mi ha data udienza e sono riuscito ad ottenere buona parte delle informazioni che mi ero prefissato.
Poco prima di prendere il treno sono anche riuscito a dare un'occhiata alla città, nei dintorni della stazione.
Ecco qualche scorcio







mercoledì 15 luglio 2009

Un ingegnere piemontese a Firenze - parte 1

Mentre scrivo questo post mi trovo presso un'azienda di Firenze, in attesa di conversare con un responsabile di sviluppo SW per una possibile consulenza.
Sono arrivato ieri sera col treno da Torino, via Milano. Ho provato per la prima volta la linea ad Alta Velocità, vanto delle nostre Ferrovie e per la quale si sono investiti miliardi di euro, togliendoli alle linee locali.
Il risultato è che i pendolari, me compreso, viaggiano su carrozze fatiscenti e perennemente in ritardo. L'Alta Velocità invece non fa tutta questa gran impressione. Il decoro e l'appeal di un qualsiasi volo charter sono lontani anni luce; non ho notato, se non per la velocità, nessuna differenza con la prima classe di una quindicina di anni fa. A mio modesto parere, se l'intento era quello di competere con le linee aeree, la battaglia per ora è persa.
Un vantaggio c'è: il treno inquina meno, anche se per far passare i binari occorre devastare il paesaggio. Questione di compromessi.
La città l'ho solo intravista, passando in autobus dalla stazione all'albergo. Mi hanno colpito essenzialmente 2 cose: il traffico delirante, con motorini e scooter che sorpassano a sinistra e volentieri anche a destra; i cantieri, aperti ovunque, che obbligano a zigzagare tra una transenna e l'altra. Ripeto, non ho visto nulla di ciò che rende famosa Firenze nel mondo. Pazienza, rimarrò con i ricordi della gita scolastica nel lontano 1985.
Tornando al motivo per cui sono venuto qui, ho l'impressione che il dirigente che devo incontrare oggi si sia totalmente dimenticato della mia visita. E dire che ho prenotato la sua disponibilità almeno una settimana fa. L'attività che svolge lo tiene parecchio sotto pressione, soprattutto in concomitanza dell'imminente chiusura per ferie. Ma io oggi ho il treno per il ritorno e domani devo riferire ai miei responsabili circa l'esito della visita.
Insomma, qualcosa dobbiamo raccontarci. E possibile qualcosa che sia traducibile in formato PowerPoint.
Perché i miei capi solo quello capiscono, e talvolta neanche troppo bene!

lunedì 13 luglio 2009

Oggi sciopero

Adesione all'appello di Diritto alla Rete contro il DDl alfano che imbavaglia la Internet italiana.


mercoledì 8 luglio 2009

Passaggio in Germania

Nel corso degli anni passati ho lavorato per diversi mesi in Germania. L'attività non è mai stata continuativa, perciò tipicamente si partiva con l'aereo il lunedi mattina per far ritorno a casa il venerdì sera.
Mentre in quel periodo non riuscivo a pensare ad altro che a togliermi al più presto da quella situazione, oggi invece guardo a quel periodo come a un'esperienza molto stancante, ma tutto sommato formativa.
Ho avuto l'opportunità di conoscere 3 zone della Germania, in un arco di tempo che copre complessivamente 5 anni.
Dapprima ho lavorato a Wiesbaden, non lontano da Francoforte, zona termale conosciuta anche agli antichi Romani. Poi ho trascorso un certo periodo vicino Stoccarda, nel sud del paese, non lontano dal confine con la Svizzera. Infine sono stato a Monaco di Baviera, che economicamente sta alla Germania come Milano all'Italia.
Confrontando fra loro queste tre diverse realtà, ho potuto notare diverse sfumature che magari al turista sfuggono; questo perché la prospettiva di chi fa una trasferta di lavoro è attenta a cogliere anche gli aspetti più svariati del quotidiano e si finisce per affezionarsi un po' ai colleghi stranieri, a volerne interpretare le abitudini e, in qualche caso, anche a importarne alcuni comportamenti.
In particolare ho maturato la convinzione i tedeschi siano un popolo molto più aperto di quanto non lo dipingano i luoghi comuni; sono molto ben disposti alle novità e ai cambiamenti, anche a quelli introdotti dall'estero. In particolare nutrono per gli italiani una notevole ammirazione, soprattutto ci riconoscono una notevole fantasia e una dedizione al lavoro notevole, anche se con ritmi alquanto diversi dai loro.
La zona di Stoccarda, nota anche come Svevia o Baden-Württemberg, confina con il nord della Svizzera, e qui la gente ha modi e abitudini tipici degli svizzeri: puntualità, rigore, talvolta quasi pedanteria. Un proverbio della zona afferma che uno Svevo non ti dice mai fino in fondo quello che pensa. Può darsi ci sia un fondo di verità, ma personalmente non ho mai notato, lavorando con gli Svevi, dei comportamenti che mi abbiano indotto a pensare che mi stessero prendendo in giro. Se ho preso qualche fregatura, c'erano sempre di mezzo degli italiani...
A Monaco invece mi sono sempre sentito quasi a casa; sarà la vicinanza dell'Italia, sarà forse perché in questa città (ma del resto in tutta la Germania) ci vivono moltissimi italiani, la mia sensazione è quella che qui anche i tedeschi sentano l'influsso di una certa italianità. Il loro caratteristico rigore risulta un po' attenuato e, anche nel lavoro, il rispetto delle regole a tutti i costi o l'etica vengono messi da parte quando si tratta di raggiungere l'obiettivo: esattamente come avviene in Italia, o almeno nelle aziende italiane che ho frequentato io.
Vediamo un esempio: capita che un italiano, quando va a lavorare in Germania, si debba registrare in un ufficio per stranieri. Anche se è un cittadino comunitario, il Governo tedesco vuole sapere cosa fa e soprattutto dove dorme. Ebbene, mi è capitato di lavorare in un'azienda che non solo non era al corrente di questa regola, ma quando ne ha scoperta l'esistenza e le relative pene per gli inadempienti, ha deciso di chiudere un occhio e di non registrare il dipendente straniero. Il motivo? Un regolamento, stavolta interno all'azienda ma a livello corporate (perché si trattava di multinazionale), l'avrebbe obbligata a riconoscere retroattivamente un'indennità di trasferta al lavoratore. Esattamente come in Italia, dove al dipendente, piuttosto che sborsare soldi per trasferte o straordinari, gli si fanno conteggiare giornate di recupero che molto probabilmente non consumerà mai, soprattutto se deve già smaltire ferie in arretrato.
Infine, nell'ultima città in cui ho lavorato, credo di aver colto il vero aspetto della Germania, ovvero quello che noi italiani stigmatizziamo attraverso i luoghi comuni: il tedesco preciso, puntuale, pedante sui dettagli, trova a Wiesbaden la sua incarnazione. Mi capitò di arrivare ad un meeting con 5 minuti di ritardo e scoprire che il manager responsabile aveva già chiamato il mio capo per sapere se mi fosse successo qualcosa. Il mio capo non ne sapeva nulla, visto che erano le 8:30 del mattino e non ci sentivamo dalla sera precedente, così l'irreprensibile manager pensò bene di chiamare l'albergo e chiedere di me.
La receptionist gli disse che ero appena uscito, perciò il manager si tranquillizzò. Al mio arrivo mi scusai per l'accaduto e non tentai neppure di abbozzare una qualche motivazione: un ritardo di soli 5 minuti non era per me degno di essere indagato. Purtroppo mi ero sbagliato. Per il manager tedesco i 5 minuti erano importanti, eccome; interruppe la riunione e volle che gli rendessi conto del mio comportamento.
La cosa più curiosa è che non lo preoccupava il ritardo in sé: piuttosto lo stupiva che una persona potesse essere in ritardo senza che gli fosse capitato qualcosa di grave. Insomma il problema non era la colpa, ma la mancanza di una giustificazione. Beh, mica potevo dirgli che la sera prima avevo bevuto un litro abbondante di birra e che avevo passato parte della notte seduto sul water...
Solo quando gli dissi che avevo sbagliato corridoio perché non ero pratico dell'edificio ci tranquillizzò e la riunione poté proseguire, secondo i punti dell'agenda che ovviamente si era premunito di farci pervenire via email ben 3 giorni prima...
L'esperienza tedesca mi ha permesso di comprendere come i luoghi comuni ci impediscano a volte di guardare ad un popolo e alle sue abitudini in modo disincantato e privo di pregiudizi. Noi italiani siamo da sempre vittime dei cliché che una cultura retrograda ci ha affibbiato addosso: mafiosi, truffatori, inaffidabili quando si tratta di affari, ma fantasiosi e inimitabili per la cucina, la moda e il turismo.
Non è facile superare i pregiudizi verso un popolo, ma ritengo che viaggiare per lavoro possa aiutare molto.

martedì 7 luglio 2009

Canzoni d'estate

Ci sono molte canzoni che ricordo con particolare affetto, ma c'è forse un'unica stagione che, da un punto di vista musicale, riunisce buona parte dei brani che preferisco.
Correva estate del 1982, con l'Italia fresco campione del mondo in Spagna, le musicassette che si compravano sulle bancarelle del mercato o si registravano direttamente dall'altoparlante della TV o della radio. E ovviamente si chiedeva a tutti di stare zitti, altrimenti oltre ai fruscii del nastro si sarebbero sentite anche le voci.
Ecco una lista delle canzoni che hanno animato quella stagione:

Alberto Camerini - Tanz Bambolina
Miguel Bosé - Bravi Ragazzi
Marcella - Nell'aria
Giuni Russo - Un'estate al mare
Sandro Giacobbe - Sarà la nostalgia
Gianni Morandi - Marinaio

e ovviamente una canzone tra le mie preferite, di cui ho scritto il testo nel primo post in assoluti di questo blog: "Sogno della galleria" di Franco Simone.
Ho trovato anche il video, che qui vi propongo.

lunedì 6 luglio 2009

De gustibus

Quando ero bambino dicevo spesso che da grande avrei voluto fare il cuoco.
Questo perché mi piaceva cimentarmi ai fornelli, provando ad eseguire le ricette che mia mamma raccoglieva. Ricordo ancora la scatola con dentro quei ritagli di giornale o schede che raffiguravano piatti succulenti, ma che a me venivano sempre diversi, molto meno scenografici.
Nonostante il mio impegno, infatti, il risultato ottenuto era sempre diverso da quello sperato.
E poi mancava sempre qualche ingrediente. Questo soprattutto perché certi prodotti non si trovavano così facilmente nei supermercati come oggi, tipo i vari tagli di carne o le decorazioni per i dolci. Ma anche perché si cercava di arrivare al risultato senza spendere troppo, perciò si sostituiva un ingrediente con quello che si aveva in casa.
Ecco che allora la crostata alla confettura di fragole diventava un dolce alla marmellata di prugne: nerastra, invece di un delicato rosso bruno. Allo stesso modo il vitello tonnato era invece una lingua in salsa tonnata, perché la lingua di vitello costa molto meno del magatello. Pure l'insalata di riso si faceva non col parboiled, assai difficile da reperire, ma con risi da risotto, di qualità Arborio o Roma, che richiedono maggior attenzione in fase di cottura. Bastavano un paio di minuti di bollitura in più e l'insalata di riso diventava un enorme arancino. Consumato freddo, ti rimaneva sullo stomaco per l’intero pomeriggio.
Oggi, che bambino non lo sono più e cuoco non lo sono diventato, ho un po' nostalgia di quel periodo, di quelle scoperte fatte in cucina, di quegli esperimenti provati ai fornelli. A volte, nella memoria, riesco anche a ripescare quei sapori, o così almeno mi sembra.
L'hobby della cucina ce l'ho sempre, gli ingredienti li trovo con una certa facilità e senza spendere eccessivamente. Purtroppo in famiglia non condividono con me questa passione, anzi i miei figli sono molto abitudinari nel mangiare, preferiscono sempre le stesse pietanze e non hanno molto interesse alla sperimentazione di nuove ricette. Perciò, quando nel week-end provo a cimentarmi nella preparazione di qualche nuovo piatto, mi osservano con curiosità tipica dei bambini quando vedono qualcuno che ci mette passione in quello che fa, qualunque cosa essa sia. Però, dalle loro domande, capisco che in fondo si chiedono: “Ma perché lo sta facendo?”.
Infatti spesso mi sento rivolgere interrogativi del tipo “Sei sicuro che verrà buono?”, oppure “Se questo piatto ti piace così tanto, non potevi comperarlo già pronto, così almeno eri sicuro che fosse buono?”; o anche “Perché non l’hai comprato già fatto, così non avresti fatto tutta questa fatica?”.
Cerco ovviamente di rispondere con pazienza e provo anche a trasmettere un po’ di passione per le attività fatte con le proprie mani, ma non ottengo quasi mai i risultati sperati.
E quasi sempre finisce che preferiscono giocare a Cooking Mama su Nintendo DS piuttosto che assaggiare il frutto delle mie fatiche sui fornelli, soprattutto se il piatto che ho preparato è a base di verdure.

giovedì 2 luglio 2009

Il ragazzo di campagna

Ogni mattina, nel tragitto dalla stazione all'ufficio, passo davanti una filiale di banca.
Ieri, primo del mese, alle 8:05 c'erano già 18 persone fuori in coda, in attesa dell'apertura, che avviene alle 8:35. Credo che per quell'ora si saranno accumulate non meno di 40 persone, praticamente tutti pensionati.
Forse, per chi vive in una grande città, scene di questo genere sono abbastanza normali. Infatti mentre passavo davanti a questa moltitudine assiepata sul marciapiedi, ho sentito una signora che diceva "Eh, cosa vuoi, è sempre più difficile arrivare alla fine del mese", con chiaro riferimento al fatto che l'attesa è tutta volta al primo giorno utile per ritirare subito lo stipendio o la pensione.
Per me, che vengo da un paesino di neanche 10.000 abitanti, scene come quella che ho descritto non si vedono mai. In attesa fuori da uno sportello bancario prima della sua apertura ci sono, al massimo, solo quelli che devono fare un'operazione rapida per schizzare al più presto al lavoro.
Allora in provincia stiamo meglio che in città? Si riesce a vivere meglio, dato che non abbiamo bisogno di aspettare in coda l'apertura della banca il primo giorno del mese?
Non saprei.
I pensionati che devono vivere con la minima ci sono anche in provincia e non credo se la passino bene, soprattutto se una quota fissa del reddito se ne va ogni mese, ad esempio, nell'affitto.
La mia opinione è che in provincia sia forse più facile vivere di espedienti. E qui ritorno alla situazione che ho descritto nel mio primo post al ritorno dalla cassa, cioè il tirare avanti arrangiandosi.
I pensionati che conosco io hanno tutti un orto, ad esempio. Che sicuramente non consente loro di vivere solo di quello, ma perlomeno evita di ricorrere al supermercato ogni volta che mancano pomodori e zucchine (almeno in questa stagione). E poi, quando qualcosa avanza, perché mica si può mangiare un chilo di pomodori tutti i giorni, esiste ancora la regola del baratto, ovvero dare a qualche amico o parente ciò che non si riesce a consumare, magari in cambio di un po' di pane avanzato per allevare qualche coniglio o gallina. I più fortunati hanno un piccolo pollaio, che si può mantenere con gli avanzi e permette di avere uova fresche ogni giorno.
In città già è un lusso avere un alloggio decoroso, figuriamoci un piccolo appezzamento per coltivare o allevare. Anche se il Comune di Torino offre ogni anno degli orti comunali per chi abbia voglia di cimentarsi nell'agricoltura, gli spazi sono troppo pochi per accontentare tutti. Si possono comprare i prodotti al mercato rionale: se si ha pazienza di girare tra i banchi e confrontare i prezzi, ne vale sicuramente la pena.
Insomma, la vita di provincia è ancora legata a queste attività un po' arcaiche di agricoltura, allevamento e baratto; ma in tempi di crisi permettono di tirare avanti e, forse, di risparmiare anche qualcosa.

mercoledì 1 luglio 2009

Lezione di marketing

La riunione di ieri è stata meno dolorosa del previsto; anzi, due riunioni, poiché anche al mattino ho avuto necessità di incontrarmi con i due dirigenti che seguono il progetto assegnatomi.
Nella prima riunione si è detto solo dello scopo di tali progetti e della metodologia da seguire. Si entrerà nei dettagli soltanto in un successivo meeting.
Invece la riunione del pomeriggio è stata, nella pratica, una lezione di marketing: tipi di progetto, tipo di cliente, errori classici da evitare. Sono d'accordo sull'importanza di scrivere sempre tutto, dalle minute delle telefonate alle slides di presentazione per la dirigenza. Non sono invece molto d'accordo sulla necessità di lasciare al cliente poca iniziativa nella gestione del progetto. Io posso proporre delle soluzioni, ma alla fine è il cliente che mi dà il suo benestare.
Ma soprattutto ieri, per la prima volta, si è pronunciata la parola "ferie", anzi "piano ferie". Era opinione comune che quest'anno le ferie sarebbero saltate, quasi sicuramente per coloro che avevano passato 3 mesi in cassa integrazione. D'accordo, in cassa ci si riposa perché non si va al lavoro, ma non le chiamerei proprio "vacanze". Intanto perché i figli continuano ad andare a scuola, quindi non ci si può allontanare da casa. E poi perché io la cassa l'ho fatta tra metà febbraio e metà maggio: a meno di scegliere mete esotiche, non è proprio una stagione da spiaggia e bagni in mare. E così spero proprio di riuscire a ricavare una settimana da passare al mare con i miei, magari a inizio settembre quando siamo in bassa stagione e si risparmia qualcosa.
Mentre sogno ad occhi aperti una spiaggia assolata e poco frequentata, mi torna in mente quello che è il mio obiettivo fisso di questo periodo: cambiare lavoro. Tra i colleghi, pur non diminuendo la scontentezza per le idee scarse sui progetti, comincio a notare una certa arrendevolezza. C'è chi pensa a cercare casa, chi all'auto nuova: insomma si fanno progetti di un certo impegno, che fino a qualche settimana fa, con l'incertezza della cassa integrazione e della possibilie mobilità, erano impensabili. Non trovo niente di male in tutto ciò, ma possibile che nel volgere di poche settimane si sia passati da un forsennato impegno a cambiare lavoro, ad una quasi totale assuefazione a ciò che il presente propone? Qualcuno dice che mantiene una sorta di "occhio vigile" sulle possibilità professionali, per cogliere l'occasione non appena si presenta. Però peccato che, dato il periodo di vacche magre che stiamo attraversando, le occasioni non si presentino così facilmente, bensì vadano ricercate con costanza. Non basta secondo me un occhio vigile, ci vuole piuttosto un impegno concreto, quotidiano: magari si può sospendere in questo periodo pre-ferie estive, ma i mesi autunnali vanno sfruttati a dovere per cercare contatti con le aziende che più interessano.
Anche perché le lamentele continuano, quindi l'assuefazione è solo in superficie, ed è data dalla stabilità che un lavoro sicuro, per quanto insoddisfacente, propone. Ma in profondità lo scontento rimane, perché non colmare questo vuoto?