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IndiaEveryday

giovedì 31 gennaio 2008

L'esperienza che tu non hai

Alcuni giorni fa ho avuto occasione di partecipare ad una riunione aziendale in cui si faceva il punto sui prodotti che ci apprestiamo a sfornare.

Niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva, salvo il fatto che si è ribadito ancora una volta quanto siamo in ritardo, quanto i fornitori ci facciano penare (è sempre colpa di qualcun altro), etc.

Un fatto curioso ha calamitato la mia attenzione e ha rafforzato in me la convinzione che a questo mondo non esiste una sola realtà. Senza scomodare concetti filosofici, dei quali peraltro sono a digiuno, sono giunto alla conclusione che spesso i nostri interlocutori vedono la realtà in modo differente da come noi la proponiamo loro. E peggio ancora, spesso la ribaltano a proprio vantaggio solo perché noi non abbiamo abbastanza potere per affermare con forza la verità.


I fatti sono questi. Alla riunione partecipa tutto il gruppo nel quale sono inserito, il capo del mio capo e pure il Gran Papavero, cioè il dirigente che ha responsabilità di tutto il prodotto.
Tale personaggio, di cui non ho mai parlato, ha la fisionomia del tipico dirigente d'azienda italiano di mezz'età e, manco a dirlo, incute in me un timore assurdo. Tanto per fare un esempio, mentre nella nostra azienda ci si da tutti quanti del "tu", io con lui non ce la faccio proprio. E' pur vero che io continuo a dare del "lei" anche a mia suocera, nonostante la conosca da 15 anni e non abbia alcuna intenzione di mutare atteggiamento. Tuttavia, il timore reverenziale che suscita in me il Gran Papavero mi impedisce un approccio privo di distanze alla sua persona; e il disagio che provo è ulteriormente ingrandito quando penso ai livelli gerarchici e salariali che ci separano.
Devo però riconoscere che lui ha brillantemente risolto quello che in fondo risulta essere un mio problema. E lo ha risolto alla radice: indeciso forse anche lui se rispondere al mio "buongiorno" con un analogo saluto o con un "ciao", ha deciso di non salutarmi proprio!


Comunque sia, nella riunione di cui vi voglio parlare il Gran Papavero si apprestava ad apprendere solo buone notizie. Tuttavia le vere protagoniste del meeting erano le notizie cattive, ovvero il cronico ritardo nell'uscita prevista del prodotto.
Inizia un mio caro collega, che chiameremo il Bergonzoni, ad esporre le cause del ritardo: inefficienza dei consulenti (come già detto), ritardo nella consegna dell'hardware, problemi coi test, ma soprattutto problemi dovuti all'inesperienza, dato il recente passaggio al nuovo sistema operativo.
Ma il Bergonzoni va oltre e afferma che gli sembrano molto strani i problemi dovuti alla nuova tecnologia, in quanto questo "è il quarto prodotto sui cui mettiamo le mani dopo il passaggio".
Il Gran Papavero rimane pensieroso e abbozza una replica, dicendo che "si, in effetti è già il quarto prodotto con il nuovo sistema operativo, ma è il primo con tutte queste nuove funzionalità e inoltre completamente ingegnerizzato da noi".
Il Bergonzoni finisce il suo intervento e tocca quindi ad Always che, a dispetto della giovane età e dell'aspetto assai piacente, è un veterano di tali prodotti. Assunto insieme con me più di 7 anni fa, ha potuto assistere a tutta l'evoluzione del mercato in questi ultimi tempi.
E Always inizia il discorso allo stesso modo, cioè che anche per la parte cui lui sovrintende ci sono ritardi, nonostante "l'esperienza accumulata negli ultimi 4 prodotti".
Eppure stavolta questa affermazione non va giù al Mega Papavero, il quale afferma che "i prodotti con la nuova tecnologia non sono 4", ma al massimo 2, forse 3, e che comunque avevano ben poco a che fare con il prototipo attuale, "sebbene molti affermino il contrario".


Insomma, il Bergonzoni ed Always sono partiti con la medesima premessa, ma questa è stata ricevuta in modo diverso dal Mega Papavero.

La riunione è poi finita, come al solito, con un nulla di fatto ed un aggiornamento alla prossima volta. Mentre uscivo, ho osservato il povero Always, il cui sguardo lasciava trasparire un'espressione che potrei interpretare come un "ma cosa ho detto di diverso dal Bergonzoni?".

lunedì 28 gennaio 2008

Oggi lunedi

Oggi butto giù un po' di idee, così come vengono. Non che di solito io mi prepari in brutta copia i post che pubblico, ma oggi proprio non mi va di curare neppure la forma. Perciò mi scuso in anticipo se noterete qualche sgrammaticatura, ma il fatto è che vorrei far uscire i pensieri dalla testa senza filtri, proprio come quando si pensa e non si scrive.
Il week-end appena trascorso è stato un disastro. Oggi mi sento più stanco rispetto a venerdi scorso e per di più sono amareggiato perché ho litigato con mia moglie. Non ricordo neppure il vero motivo per cui ci siamo scontrati, ma sicuramente tutto ha origine dal fatto che lei mi accusa di non fare abbastanza per i bambini. La verità, che poi non è troppo diversa da come la pensa lei, è che sono davvero troppo stanco per qualsiasi cosa, anche per sentire i bambini giocare e far loro compagnia. Ho nostalgia di quei periodi della mia vita in cui potevo immergermi nei miei pensieri a riflettere, mentre ora sono talmente stanco che mi sembra di vivere in un sonno perpetuo, interrotto da alcuni momenti di veglia (neanche troppo lucida) durante il giorno.
Sicuramente le 4 ore di viaggio giornaliere per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa si fanno sentire. Ma non c'è solo quello. C'è purtroppo che sono stanco dentro, sono disilluso di qualsiasi cosa, mi manca la voglia e la forza di darmi da fare per un obiettivo.
Tanti anni fa invece amavo lottare per conquistarmi qualcosa che mi piacesse veramente. Se avevo un'idea in testa, non la noascondevo di certo. Insomma, ero convinto di poter giocare la mia piccola parte nel mio mondo.
Adesso invece non provo interesse per niente. Nelle discussioni, lavorative e non, cerco di sostenere le mie opinioni ma non più di tanto. Il motivo è che sono convinto che niente può cambiare, che io mi dia da fare oppure no.
Prendiamo ad esempio il lavoro. In questi ultimi mesi ho sostenuto qualche colloquio, ho ricevuto rassicurazioni circa il fatto che il mio profilo professionale sia abbastanza interessante, ma alla fine della fiera non ho spuntato nessun contatto serio. Di qui la mia convinzione che darsi da fare non serva a nulla, che dopotutto forse non valeva nemmeno la pena di sostenerli, quei colloqui.
E' anche vero che, in alcuni casi, ho la netta sensazione di aver parlato con dei mitomani.
Che senso ha infatti contattarmi per chiedermi informazioni sulle mie esperienze passate e presenti, per poi dirmi che "al momento non ci sono richieste di personale aperte, ma desideravamo sapere le sue competenze". Così, per pura curiosità, volevano sapere cosa faccio? Forse dovrei inserire, a piè di pagina del mio curriculum, la frase "astenersi perditempo"?
Altro spunto, completamente scollegato dal precedente, me lo offre l'attuale situazione politica.
Il governo è caduto, molti vogliono nuove elezioni, ma anche qui sono rinunciatario come non mai. Ma davvero si pensa che, andando a votare di nuovo, cambierà qualcosa? Le facce e le idee tra cui scegliere saranno le stesse, ogni personaggio politico declamerà il suo desiderio di lavorare nell'interesse di tutti e, una volta eletto, curerà soltanto il "particulare" suo e della sua casta.
E allora cosa ci vado a fare a votare?
Io invidio davvero chi lotta per un'idea, una convinzione, un progetto. Ho molti colleghi che si prodigano nel lavoro, alcuni sognano di aprire un'attività in proprio, altri ancora fanno 2 lavori contemporaneamente.
Io invece non riesco a fare niente, ma peggio ancora a sognare niente.
E dicono che senza i sogni non si va da nessuna parte

venerdì 25 gennaio 2008

Tutta colpa di Dimitri

Dimitri è un ragazzo russo che lavora per una società di consulenza di Nizhny Novgorod. La suddetta società gli ha affibbiato l'ingrato compito di aiutarci a sviluppare il software per i nostri prodotti.

Ingrato per lui, perché si tratta di lavorare con gente che non capisce la tua lingua, che spesso di chiede di viaggiare in Italia con scarso preavviso, perché ogni richiesta nei suoi confronti è sempre "massima priorità".

Ingrato però anche per noi. Infatti Dimitri, pur essendo scrupoloso e desideroso di apprendere, si lascia spesso prendere la mano e fa affermazioni totalmente inattendibili.

Un esempio di questa sua non invidiabile dote l'ho sperimentato sulla mia pelle proprio ieri.

Verso le 13, Dimitri si dice sicuro di chiudere la sua parte di software per la settimana entro mezz'ora, 45 minuti al massimo. Il mio lavoro del pomeriggio dipende completamente dalla sua consegna, quindi decido di fidarmi ed aspetto fiducioso.

Verso le 14, in mancanza di aggiornamenti, lo contatto e lui mi assicura che ha bisogno di un'altra mezz'oretta, non di più.

Alle 15 inizio a fibrillare, avendo già capito che la giornata finirà molto, ma molto tardi. Inizio ad informare il mio capo che, qualora non riuscissi ad uscire dall'ufficio entro le 19:20, non riuscirei a prendere l'ultimo treno per casa e quindi sarei costretto a dormire in ufficio.

Il mio capo quasi non ci crede, ma io gli ho detto la sacrosanta verità. Inizio dunque ad immaginarmi una nottata trascorsa nel nostro magazzino, sdraiato sui cartoni da imballaggio.

Nel frattempo Dimitri mi fornisce qualche informazione in più, in modo che io possa iniziare quantomeno ad elaborare la struttura de file su cui si farà la release. Non è sufficiente, ma almeno non rimango ad attendere inutilmente.

Di mezz'ora in mezz'ora, arriviamo alle 17:02 e finalmente Dimitri inoltra la sua richiesta di release. L'albero dati però non vuol saperne di rendersi raggiungibile, probabilmente sto sbagliando qualcosa. Invio un SMS a casa per avvisare che non mi aspettino.

Chiedo aiuto ad una collega e a furia di tentativi, verso le 17:30, riusciamo a individuare l'albero.

Qui inizia il mio lavoro vero e proprio. I file sono circa un centinaio, non ho ancora dimestichezza con gli script automatici e poi sono troppo nervoso per non combinare qualche casino: decido di importarli a mano.

Alle 18:30 finisco con i file, metto le label alle versioni e inoltro la richiesta per fare la release. Il calvario termina verso le 19, con una sorpresa: non esiste ancora nel database la versione di test, chiedo di tornare indietro e si cancella tutto! Riscrivo quindi alla meglio e alle 19:10 esco dall'ufficio.
Cena in una tavola calda, avviso a casa che farò molto tardi, ma sempre meglio che dormire in magazzino.
Alle 21:40 finalmente entro in casa, dopo la solita trafila treno+bus.
Temo che la prima notte della mia vita in ufficio sia solo rimandata.

Aggiornamento del giorno dopo (arrivato proprio mentro sto scrivendo questo post): mi telefona il Mega-Chef e mi dice che, nella release che esce oggi, il mio contributo non verrà incluso. "Ne sono arrivati troppi e il tuo mi è sfuggito, mi spiace, lo includiamo settimana prossima...".

Dimitri, meglio per te che te ne stai a Nizhny Novgorod!

lunedì 21 gennaio 2008

Aggiungi un posto a tavola

Sul fronte lavorativo, la scorsa settimana si è rivelata parecchio impegnativa.
Infatti ho dovuto apprendere svariate nozioni nuove per condurre al meglio il mio nuovo lavoro. Ed ho scoperto di avere anche una qualifica precisa: "SW Integration Manager", ovvero colui che mette assieme pezzi di codice proveniente da sviluppatori sparsi in giro per il mondo, li mette sotto controllo di configurazione e li passa al livello di integrazione successivo.

In soldoni sono un passa-carte, meglio ancora un passa-SW, soltanto che lo devo fare con molta attenzione, soprattutto per non perdermi pezzi che altri hanno sviluppato e che giustamente vogliono metter dentro al SW principale.

Attenzione, non fatevi ingannare dalla parola "manager". Infatti dove lavoro io sono tutti manager ("todos caballeros", come dice un mio collega), perché la parola riempie bene la bocca e mette responsabilità al dipendente, caso mai si pensasse che il suo ruolo sia di poco conto.

Parola usata ed abusata, nel mio caso l'appellativo di "manager" si può considerare esattamente come nella definizione data dal Manzoni alla peste, ovvero "non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome".
Invece, per meglio chiarire il concetto di SW Integration, che ha fatto la fortuna della moderna ingegneria del SW, preferisco ricorrere ad una metafora culinaria di mia invenzione.
Immaginate di partecipare ad un pranzo nuziale con decine di portate, in cui però ogni invitato abbia a partecipare con una sua prelibatezza: c'è chi porta gli antipasti di mare, chi i Crodino, chi il risotto etc. Io sono responsabile dei primi piatti, ovvero accolgo gli invitati che arrivano con pasta alla carbonara, risotto alla pescatora, crespelle e cosi via. Qualcun altro come me sarà responsabile dei secondi, degli antipasti, dei dolci, fino alla fine del pasto.
Affinché il pasto riesca bene, devo tenere nota di tutti i primi ed informare il Mega-Chef di tutto ciò che gli invitati mi hanno portato. Inoltre, per la soddisfazione degli invitati stessi, devo fare in modo che ogni cosa portata da loro rientri nel pranzo stesso, affinché nessuno abbia a dire: "Ma come, porto le lasagne e neppure le mettono nel menù". Ciò comporterebbe infatti una terribile delusione da parte del commensale latore delle lasagne, nonché una inevitabile lavata di capo da parte del Mega-Chef nei miei confronti, in quanto mi sarei dimenticato di inserire nel pranzo una portata fondamentale.
Ovviamente la regìa occulta di tutto questo teatrino sarebbe orchestrata dagli sposi, che nel mio caso sono il mercato su cui uscirà il nostro prodotto. Agli sposi non interessa quello che noi combiniamo e come organizziamo le varie portate. A loro importa solamente che il pranzo riesca in modo esemplare, pagando il meno possibile.
Il mio Mega-Chef dovrebbe essere colui che mi insegna i trucchi del mestiere, nonché la sopraffina arte di combinare più piatti senza incasinare il risultato finale. Ad esempio, penne al ragù di cinghiale e risotto alle vongole non andrebbero serviti uno dopo l'altro. Inoltre mi dovrebbe aiutare nell'uso degli attrezzi più idonei, per evitare che io prepari un pesto alla genovese con un batticarne, anziché pestare bene il tutto in un mortaio.
Ora succede però che il mio Mega-Chef non abbia tempo, tutto indaffarato a preparare decine e decine di pranzi nuziali, mica solo quello cui presto servizio io.
Perciò mi hanno indirizzato da un ragazzo, che chiameremo Josè, che lavora qui da circa un anno. Josè è preparatissimo e con una gran voglia di imparare, anche se mi ha candidamente confessato che lui si è già scocciato di fare l'integrazione SW. Il motivo? Guarda caso, perché dopo un po' l'attività diventa ripetitiva e non si impara più nulla. Inoltre è amareggiato perché, in quasi un anno di permanenza, non è ancora mai andato in trasferta, mentre i suoi colleghi hanno già viaggiato in lungo e in largo.

E l'azienda per cui lavoro, che nella sua grande magnanimità non ha mai negato un viaggio a nessuno (tanto non paga le trasferte), lo ha subito accontentato: trascorrerà la presente settimana a Tel Aviv, a insegnare le procedure di flashing del SW ai dipendenti di un'azienda israeliana.

Settimana scorsa il buon José, tutto galvanizzato, mi mostrava sul Web la foto dell'albergo di Tel Aviv dove risiederà durante la trasferta.
"Guarda com'è lussuoso", diceva.
"Speriamo sia blindato", ho pensato io.

mercoledì 16 gennaio 2008

Anno nuovo, vita semi-nuova

L'anno che si è da poco iniziato mi ha visto protagonista di una vicenda lavorativa totalmente nuova. E' del resto anche uno dei motivi per i quali sono stato lontano dal blog per così tanti giorni.
Immaginate di lavorare per un'azienda che, ad un certo punto, decide di accorpare due divisioni interne. O meglio, decide di cancellarne una per spostare tutti i suoi elementi nell'altra. Immaginate ora di far parte degli emigranti, e per di più di non aver praticamente mai avuto alcun contatto di tipo lavorativo con la divisione verso la quale vi dirottano.
Beh, è come cambiare azienda, direte voi. Non proprio, ribatto io. Perché il cambiare azienda implica che voi abbiate sostenuto un colloquio, siate piaciuto all'esaminatore, vi abbiano fatto una proposta e voi l'abbiate accettata. Il lavoro vero e proprio si potrà poi rivelare molto diverso dalle aspettative, ma questo fa parte del gioco. La sostanza è che voi avete cercato quell'azienda, o meglio ancora loro avranno cercato voi, e vi siete in qualche modo messi d'accordo sul realizzare insieme reciproche aspettative.
Quel che è accaduto a me è leggermente diverso: è come se fossi stato preso da un'azienda per la quale non mi sarei mai sognato di far domanda di assunzione. A complicare maggiormente le cose, sono stato indirizzato ad una mansione sulla quale non ho la benché minima esperienza e che non era coperta da nessuno fino al momento del mio arrivo. Non mi è ancora chiaro se le attività a me assegnate venissero svolte da qualcun altro, quindi eccessivamente oberato da chiedere di affiancargli qualcuno, oppure se abbiano inventato un ruolo apposta per me, per non lasciarmi con le mani in mano.
Al momento propendo al 50% per entrambe le ipotesi. Sia perché effettivamente esiste una persona che svolge un ruolo analogo e si lamenta dell'eccessivo carico di lavoro affidatole, sia perché inizialmente avevano previsto per me una mansione e sono stato poi dirottato su un'altra.
Dopo una prima settimana e mezza di full immersion con chi di questo lavoro se ne intende, queste sono le prime conclusioni:
  • Il nuovo lavoro è molto interessante da un punto di vista tecnico, ma a lungo termine non ha alcuna prospettiva di crescita ed è eccessivamente ripetitivo; aggiungerei che la maggior parte di coloro che lo hanno svolto e con i quali ho parlato, mi hanno dato l'impressione che non vedevano l'ora di uscirne. Questo sia perché il carico di lavoro tende a crescere progressivamente, sia per la accennata ripetitività;
  • Il nuovo lavoro mi da responsabilità solo verso me stesso e verso il livello immediatamente superiore, al quale passo ciò che produco. Nel lavoro vecchio invece avevo responsabilità sia verso altri colleghi, sia verso il cliente, e mi ero creato questa posizione dopo anni di pratica sul campo; perciò sono portato a considerare le nuove mansioni come una specie di "retrocessione" ad un ruolo senza responsabilità. E' pur vero che il vecchio ruolo mi offriva pochissimi spunti tecnicamente, ed anche professionalmente la crescita non sarebbe proseguita;
  • Infine, il nuovo lavoro sembra portar via ulteriore tempo alla vita privata, ma consente di arricchire il curriculum con un'esperienza nuova e abbastanza ricercata.

Che dire in conclusione? Che per ora non ho mezzi ne' autorità per propormi in modo alternativo su altre posizioni all'interno di questa azienda. Perciò ho deciso di approfittarne per imparare qualcosa di nuovo e aggiungere al curriculum una competenza in più, poi fra qualche mese deciderò se vale la pena continuare o meno.

Intanto la ricerca di un nuovo impiego prosegue a ritmo serrato, soprattutto in virtù del fatto che la vita da pendolare mi pesa sempre di più.

Il cambio di mansione ha solo fornito nuova forza alla mia finora discontinua ricerca.