Nel corso degli anni passati ho lavorato per diversi mesi in Germania. L'attività non è mai stata continuativa, perciò tipicamente si partiva con l'aereo il lunedi mattina per far ritorno a casa il venerdì sera.
Mentre in quel periodo non riuscivo a pensare ad altro che a togliermi al più presto da quella situazione, oggi invece guardo a quel periodo come a un'esperienza molto stancante, ma tutto sommato formativa.
Ho avuto l'opportunità di conoscere 3 zone della Germania, in un arco di tempo che copre complessivamente 5 anni.
Dapprima ho lavorato a Wiesbaden, non lontano da Francoforte, zona termale conosciuta anche agli antichi Romani. Poi ho trascorso un certo periodo vicino Stoccarda, nel sud del paese, non lontano dal confine con la Svizzera. Infine sono stato a Monaco di Baviera, che economicamente sta alla Germania come Milano all'Italia.
Confrontando fra loro queste tre diverse realtà, ho potuto notare diverse sfumature che magari al turista sfuggono; questo perché la prospettiva di chi fa una trasferta di lavoro è attenta a cogliere anche gli aspetti più svariati del quotidiano e si finisce per affezionarsi un po' ai colleghi stranieri, a volerne interpretare le abitudini e, in qualche caso, anche a importarne alcuni comportamenti.
In particolare ho maturato la convinzione i tedeschi siano un popolo molto più aperto di quanto non lo dipingano i luoghi comuni; sono molto ben disposti alle novità e ai cambiamenti, anche a quelli introdotti dall'estero. In particolare nutrono per gli italiani una notevole ammirazione, soprattutto ci riconoscono una notevole fantasia e una dedizione al lavoro notevole, anche se con ritmi alquanto diversi dai loro.
La zona di Stoccarda, nota anche come Svevia o Baden-Württemberg, confina con il nord della Svizzera, e qui la gente ha modi e abitudini tipici degli svizzeri: puntualità, rigore, talvolta quasi pedanteria. Un proverbio della zona afferma che uno Svevo non ti dice mai fino in fondo quello che pensa. Può darsi ci sia un fondo di verità, ma personalmente non ho mai notato, lavorando con gli Svevi, dei comportamenti che mi abbiano indotto a pensare che mi stessero prendendo in giro. Se ho preso qualche fregatura, c'erano sempre di mezzo degli italiani...
A Monaco invece mi sono sempre sentito quasi a casa; sarà la vicinanza dell'Italia, sarà forse perché in questa città (ma del resto in tutta la Germania) ci vivono moltissimi italiani, la mia sensazione è quella che qui anche i tedeschi sentano l'influsso di una certa italianità. Il loro caratteristico rigore risulta un po' attenuato e, anche nel lavoro, il rispetto delle regole a tutti i costi o l'etica vengono messi da parte quando si tratta di raggiungere l'obiettivo: esattamente come avviene in Italia, o almeno nelle aziende italiane che ho frequentato io.
Vediamo un esempio: capita che un italiano, quando va a lavorare in Germania, si debba registrare in un ufficio per stranieri. Anche se è un cittadino comunitario, il Governo tedesco vuole sapere cosa fa e soprattutto dove dorme. Ebbene, mi è capitato di lavorare in un'azienda che non solo non era al corrente di questa regola, ma quando ne ha scoperta l'esistenza e le relative pene per gli inadempienti, ha deciso di chiudere un occhio e di non registrare il dipendente straniero. Il motivo? Un regolamento, stavolta interno all'azienda ma a livello corporate (perché si trattava di multinazionale), l'avrebbe obbligata a riconoscere retroattivamente un'indennità di trasferta al lavoratore. Esattamente come in Italia, dove al dipendente, piuttosto che sborsare soldi per trasferte o straordinari, gli si fanno conteggiare giornate di recupero che molto probabilmente non consumerà mai, soprattutto se deve già smaltire ferie in arretrato.
Infine, nell'ultima città in cui ho lavorato, credo di aver colto il vero aspetto della Germania, ovvero quello che noi italiani stigmatizziamo attraverso i luoghi comuni: il tedesco preciso, puntuale, pedante sui dettagli, trova a Wiesbaden la sua incarnazione. Mi capitò di arrivare ad un meeting con 5 minuti di ritardo e scoprire che il manager responsabile aveva già chiamato il mio capo per sapere se mi fosse successo qualcosa. Il mio capo non ne sapeva nulla, visto che erano le 8:30 del mattino e non ci sentivamo dalla sera precedente, così l'irreprensibile manager pensò bene di chiamare l'albergo e chiedere di me.
La receptionist gli disse che ero appena uscito, perciò il manager si tranquillizzò. Al mio arrivo mi scusai per l'accaduto e non tentai neppure di abbozzare una qualche motivazione: un ritardo di soli 5 minuti non era per me degno di essere indagato. Purtroppo mi ero sbagliato. Per il manager tedesco i 5 minuti erano importanti, eccome; interruppe la riunione e volle che gli rendessi conto del mio comportamento.
La cosa più curiosa è che non lo preoccupava il ritardo in sé: piuttosto lo stupiva che una persona potesse essere in ritardo senza che gli fosse capitato qualcosa di grave. Insomma il problema non era la colpa, ma la mancanza di una giustificazione. Beh, mica potevo dirgli che la sera prima avevo bevuto un litro abbondante di birra e che avevo passato parte della notte seduto sul water...
Solo quando gli dissi che avevo sbagliato corridoio perché non ero pratico dell'edificio ci tranquillizzò e la riunione poté proseguire, secondo i punti dell'agenda che ovviamente si era premunito di farci pervenire via email ben 3 giorni prima...
L'esperienza tedesca mi ha permesso di comprendere come i luoghi comuni ci impediscano a volte di guardare ad un popolo e alle sue abitudini in modo disincantato e privo di pregiudizi. Noi italiani siamo da sempre vittime dei cliché che una cultura retrograda ci ha affibbiato addosso: mafiosi, truffatori, inaffidabili quando si tratta di affari, ma fantasiosi e inimitabili per la cucina, la moda e il turismo.
Non è facile superare i pregiudizi verso un popolo, ma ritengo che viaggiare per lavoro possa aiutare molto.
Mentre in quel periodo non riuscivo a pensare ad altro che a togliermi al più presto da quella situazione, oggi invece guardo a quel periodo come a un'esperienza molto stancante, ma tutto sommato formativa.
Ho avuto l'opportunità di conoscere 3 zone della Germania, in un arco di tempo che copre complessivamente 5 anni.
Dapprima ho lavorato a Wiesbaden, non lontano da Francoforte, zona termale conosciuta anche agli antichi Romani. Poi ho trascorso un certo periodo vicino Stoccarda, nel sud del paese, non lontano dal confine con la Svizzera. Infine sono stato a Monaco di Baviera, che economicamente sta alla Germania come Milano all'Italia.
Confrontando fra loro queste tre diverse realtà, ho potuto notare diverse sfumature che magari al turista sfuggono; questo perché la prospettiva di chi fa una trasferta di lavoro è attenta a cogliere anche gli aspetti più svariati del quotidiano e si finisce per affezionarsi un po' ai colleghi stranieri, a volerne interpretare le abitudini e, in qualche caso, anche a importarne alcuni comportamenti.
In particolare ho maturato la convinzione i tedeschi siano un popolo molto più aperto di quanto non lo dipingano i luoghi comuni; sono molto ben disposti alle novità e ai cambiamenti, anche a quelli introdotti dall'estero. In particolare nutrono per gli italiani una notevole ammirazione, soprattutto ci riconoscono una notevole fantasia e una dedizione al lavoro notevole, anche se con ritmi alquanto diversi dai loro.
La zona di Stoccarda, nota anche come Svevia o Baden-Württemberg, confina con il nord della Svizzera, e qui la gente ha modi e abitudini tipici degli svizzeri: puntualità, rigore, talvolta quasi pedanteria. Un proverbio della zona afferma che uno Svevo non ti dice mai fino in fondo quello che pensa. Può darsi ci sia un fondo di verità, ma personalmente non ho mai notato, lavorando con gli Svevi, dei comportamenti che mi abbiano indotto a pensare che mi stessero prendendo in giro. Se ho preso qualche fregatura, c'erano sempre di mezzo degli italiani...
A Monaco invece mi sono sempre sentito quasi a casa; sarà la vicinanza dell'Italia, sarà forse perché in questa città (ma del resto in tutta la Germania) ci vivono moltissimi italiani, la mia sensazione è quella che qui anche i tedeschi sentano l'influsso di una certa italianità. Il loro caratteristico rigore risulta un po' attenuato e, anche nel lavoro, il rispetto delle regole a tutti i costi o l'etica vengono messi da parte quando si tratta di raggiungere l'obiettivo: esattamente come avviene in Italia, o almeno nelle aziende italiane che ho frequentato io.
Vediamo un esempio: capita che un italiano, quando va a lavorare in Germania, si debba registrare in un ufficio per stranieri. Anche se è un cittadino comunitario, il Governo tedesco vuole sapere cosa fa e soprattutto dove dorme. Ebbene, mi è capitato di lavorare in un'azienda che non solo non era al corrente di questa regola, ma quando ne ha scoperta l'esistenza e le relative pene per gli inadempienti, ha deciso di chiudere un occhio e di non registrare il dipendente straniero. Il motivo? Un regolamento, stavolta interno all'azienda ma a livello corporate (perché si trattava di multinazionale), l'avrebbe obbligata a riconoscere retroattivamente un'indennità di trasferta al lavoratore. Esattamente come in Italia, dove al dipendente, piuttosto che sborsare soldi per trasferte o straordinari, gli si fanno conteggiare giornate di recupero che molto probabilmente non consumerà mai, soprattutto se deve già smaltire ferie in arretrato.
Infine, nell'ultima città in cui ho lavorato, credo di aver colto il vero aspetto della Germania, ovvero quello che noi italiani stigmatizziamo attraverso i luoghi comuni: il tedesco preciso, puntuale, pedante sui dettagli, trova a Wiesbaden la sua incarnazione. Mi capitò di arrivare ad un meeting con 5 minuti di ritardo e scoprire che il manager responsabile aveva già chiamato il mio capo per sapere se mi fosse successo qualcosa. Il mio capo non ne sapeva nulla, visto che erano le 8:30 del mattino e non ci sentivamo dalla sera precedente, così l'irreprensibile manager pensò bene di chiamare l'albergo e chiedere di me.
La receptionist gli disse che ero appena uscito, perciò il manager si tranquillizzò. Al mio arrivo mi scusai per l'accaduto e non tentai neppure di abbozzare una qualche motivazione: un ritardo di soli 5 minuti non era per me degno di essere indagato. Purtroppo mi ero sbagliato. Per il manager tedesco i 5 minuti erano importanti, eccome; interruppe la riunione e volle che gli rendessi conto del mio comportamento.
La cosa più curiosa è che non lo preoccupava il ritardo in sé: piuttosto lo stupiva che una persona potesse essere in ritardo senza che gli fosse capitato qualcosa di grave. Insomma il problema non era la colpa, ma la mancanza di una giustificazione. Beh, mica potevo dirgli che la sera prima avevo bevuto un litro abbondante di birra e che avevo passato parte della notte seduto sul water...
Solo quando gli dissi che avevo sbagliato corridoio perché non ero pratico dell'edificio ci tranquillizzò e la riunione poté proseguire, secondo i punti dell'agenda che ovviamente si era premunito di farci pervenire via email ben 3 giorni prima...
L'esperienza tedesca mi ha permesso di comprendere come i luoghi comuni ci impediscano a volte di guardare ad un popolo e alle sue abitudini in modo disincantato e privo di pregiudizi. Noi italiani siamo da sempre vittime dei cliché che una cultura retrograda ci ha affibbiato addosso: mafiosi, truffatori, inaffidabili quando si tratta di affari, ma fantasiosi e inimitabili per la cucina, la moda e il turismo.
Non è facile superare i pregiudizi verso un popolo, ma ritengo che viaggiare per lavoro possa aiutare molto.
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